Osservate questa copertina.

Osservatela bene: perché, piaccia o meno, va alla sostanza di questo libro. Comunica, in modo conscio e inconscio. Ed è fedele al testo, come tutte le copertine dovrebbero essere. Trasmette sensazioni coerenti allo spirito che permea, anima, le pagine crude e crudeli della trilogia di Magdeburg, la nuova avventura letteraria di Alan D. Altieri, di cui L'Eretico è il primo, avvincente, capitolo.

Elementi cromatici cupi. Essenziali.

Lo sfondo.

E' l’oscurità certo... Ma non quella totale, viscerale e misteriosa, a modo suo affascinante, evocata dalle profondità di un nero assoluto. No, qui l'ombra si manifesta in un grigio scuro, tetro e torbido, che richiama menti e cuori offuscati dalla malvagità. E' la tonalità della grettezza umana, la tenebra stinta della meschinità e dell'egoismo. Ma anche del pessimismo che ne è conseguenza. E, spesso, della rassegnazione.

Poi, il titolo e l'autore. Caratteri di epoche lontane, ovvio, impressi in una tinta metallica. Come l'acciaio delle lame. Come il gelido argento dei crocifissi.

Infine, l'immagine principale. Una rappresentazione perfetta per i toni apocalittici cari ad Altieri: un particolare del Trittico del fieno, di Hieronymus Bosch. Con il rosso, e le sue sfumature. Il rosso del fuoco e del sangue. Della distruzione e della sofferenza. Dell'odio che avvampa, brucia, consuma, fino a lasciare cenere. La grigia cenere dello sfondo, tra l'altro.

Non per niente è "cenere" l'ultima parola di questo L'Eretico.

D'accordo: magari ho infranto le consuetudini di FM, partendo da una copertina piuttosto che dai contenuti. Ma siete lettori scaltri, non vi siete lasciati fuorviare dall'abitudine. Avete capito che stiamo già recensendo il romanzo. Più di quanto sembri.

Ora, è il momento di entrare nel libro.

Scenario.

Guerra dei Trent'Anni, A.D. 1630. Fin dalle prime battute, ci ritroviamo precipitati nel cuore oscuro, tumorizzato, di un'Europa scossa da acuti conati di violenza. Ondate di guerra, disperazione, malattia. Uno scontro che oramai pare infinito. Perpetrato in nome di uno stesso Dio, ma da uomini che in suo nome o s'arroccano in dogmi di comodo o chiosano nuove teologie, strade differenti per una direzione identica. Difformità che partoriscono roventi conflittualità. I potenti si sfidano, mettono in campo i loro eserciti - perlopiù prezzolati, sempre brutali - per brama di potere, di ricchezze. O anche per insano capriccio. La ricca borghesia freme per affrancarsi dagli antichi gioghi dei poteri nobiliari, e della fede fa pretesto di ribellione. Mentre fanatici accendono i fuochi dell'oltranzismo religioso, intere popolazioni pagano lo scotto di tanta demenza.

Storia di quattro secoli fa? Sì, sicuro. Solamente? No.

Altieri affonda nell'animo del lettore un concetto. Quello di "guerra eterna". Lo affonda ripetutamente, a rischio di esagerare. Lo fa nel modo ossessivo e ricorrente che già abbiamo conosciuto nei suoi thriller. Lo fa perché è alla guerra in genere che egli impone l'appellativo di eterna (e ce la sentiamo noi di smentirlo?). Lo incide sul metallo delle spade, e lo marchia a fuoco nelle carni vive dell'Uomo, fattore e vittima d'ogni incubo bellico e di ciò che lo accompagna. Troppo spesso servo, se non schiavo, del lato oscuro della sua natura.

La guerra dunque... Con il suo corredo eterno di famiglie lacerate, divise, distrutte; di donne stuprate, di orfani, di bambini guerrieri; di epidemie ricorrenti, o endemiche; di religioni che in nome di Dio, quale sia, catalizzano ferocia, rinnegandosi da sole; di interessi; di abusi; di speranza cancellata; di vittime che diventano carnefici; di vendette; di odio che si riversa torrenziale. Inarrestabile.

Pessimismo assoluto? Profondo, non assoluto.

L'Amore - la sua importanza - è presente nelle pagine di questo romanzo. L'Amore, per come possa cavarsela questo sentimento in situazioni estreme, stravolte. Nemiche.

E, forse, singoli episodi di Amicizia che, a dispetto di una terra arida e sconvolta, potrebbe mettere radici.

Protagonisti.

Svariati. Ognuno con la sua - piccola o grande - storia, che si intreccia impeccabilmente alla trama principale, cresce, spesso s'interrompe... bruscamente.

Una giovane inquisita come strega. Un ufficiale di ventura per costrizione e sopravvivenza. Una carismatica spia al servizio di Richelieu. Una reverenda madre in odore di eresia. Un uomo di cultura e scienza, soprattutto però un padre di famiglia. Un infervorato inquisitore domenicano. Un cardinale ribelle, tra gli intrighi della Curia pontificia. Feccia mercenaria della peggior specie.

Questi sono solo alcuni esempi di un cast dominato due personalità carismatiche: Reinardt Heinrich, principe Dekken. Mente lucida, spietata. Eppure malata, fino ai recessi dell'animo. E' lui il burattinaio che tira le fila oscure. E l'Eretico senza nome. Taciturno e (all'occorrenza) letale viandante in nero, che appare e agisce come una sorta di "cavaliere pallido" di eastwoodiana memoria. Anche lui tesse una sua ragnatela. Quale sia, è da comprendere.

Trama.

Nello scendere nell'arena letteraria del romanzo storico, Altieri non dimentica di essere un autore di thriller di lunga esperienza e uno sceneggiatore cinematografico: anche questa volta, il meccanismo narrativo è un'organizzazione attenta, puntigliosa, di trame e sottotrame. In questa recensione, in fondo svelo anche troppo del soggetto e del suo sviluppo. Per quanto preferisca farlo per indizi, piuttosto che in modo lineare e sinottico. Per restare in sintonia con l'opera.

Comunque sia, L'Eretico va gustato passo per passo. Anche se, vi avverto, non è cibo per palati delicati. E non temete: accade sempre qualcosa, nelle trame pur lunghe e articolate di Altieri. L’Eretico non fa eccezione, tutt'altro.

Stile.

Quello di Alan D. Altieri. Distintivo e unico. Al massimo vigore.

Non si preoccupino quindi i suoi fans di vecchia data dell'apparente cambio di rotta: la miscela Altieri non viene meno: l’action thriller cambia secolo, ma l’apocalisse resta alle porte (il destino di Magdeburg lo troviamo sui libri di storia).

Mi limito a sottolineare alcune delle caratteristiche della prosa di Altieri. Il forte impatto visivo, per esempio: immagini evocate con sequenze brevi ma complete, che si susseguono incalzanti. I dialoghi sono a loro volta serrati, non prolungati, e lasciano il segno. Brani che restano nella memoria anche dopo aver girato pagina.

Un'altra caratteristica dei romanzi di Altieri è quella di essere cadenzati da parole-chiave che ritornano insistenti. Vale, ad esempio, il discorso fatto prima sulla "guerra eterna". Queste reiterazioni non sono frutto di negligenza o scarsa competenza e fantasia linguistica. Si tratta di un atto voluto, funzionale ed efficace. Solo in un paio d'occasioni, l'autore si lascia prendere un po' la mano.

Poi, la costruzione delle frasi. Anche qui, periodi preferibilmente corti. Dove l'arma vincente è un uso a tratti quasi esasperato, eppure sagace, del punto fisso. Certo, starei attento a consigliare L'Eretico a chi ama solo i periodi lunghi, articolati, pieni di correlate, virgole, punti e virgola, le descrizioni minuziose e infinite.

Attenzione, però! Non vorrei avervi portato su una falsa pista. Non stiamo assolutamente parlando di prosa "povera". Sbagliato. La lettura attenta di questo, e degli altri suoi romanzi, dimostra quanto Altieri padroneggi questa nostra preziosa lingua, anche in modo canonico se necessario. Semplicemente, preferisce perlopiù usarla a modo suo, tralasciando orpelli e leziosismi stilistici, per trascinarci con la sua scrittura sincopata direttamente nel cuore ardente della narrativa di genere.

Per quale lettore, Magdeburg?

Per chi ama la Storia, perché il supporto storico è solido, frutto di un lungo impegno di documentazione. E quello della Guerra dei Trent'anni è un terreno che il romanzo storico ha raramente sfruttato.

Per chi ama il thriller e l'avventura. Con il valore aggiunto di uno spessore che va oltre la pura evasione.

Per chi ama il cinema. Perché pare di esserci, al cinema. Quello di qualità. Nel modo in cui le scene scorrono, per come agiscono i protagonisti, per come vengono montati i passaggi tra un capitolo e l'altro: cambi effettuati con richiami di immagini, con echi di colore, con ripetizioni di parole, assonanze, con legami di emozioni...

«Ok», chiederete voi a questo punto, «ma: perché dovrebbe piacere a noi lettori di FantasyMagazine? »

Gli elementi per appassionarvi ci sono, anche nel caso non siate lettori onnivori.

E non parlo solo ai cultori della low fantasy, dei fedeli di Gemmell o Martin (del quale peraltro Sergio Altieri è traduttore), per i quali l'affinità è evidentemente più logica.

L'elemento "fantastico" c'è. Non è di sicuro il principale, ma c'è.

L'Eretico è infatti pregno di un’atmosfera così greve da percerpirsi come soprannaturale. Tanta morte da vita a tanti fantasmi; i quali, benché non si manifestino, non siano nominati e descritti, aleggiano percettibili tra le pagine di Magdeburg. Non solo tra le rovine di Bad Hoch, o di altri luoghi di massacro. No, più che dove riposano i morti, gli spettri vagano ovunque ci siano dei sopravvissuti. Al loro fianco, dentro i loro cuori, dentro le loro menti. O magari rinati in quei corvi, presenza costante, inquietante ma non ostile, che popolano il romanzo. Quei corvi il cui rapporto con l’Eretico rasenta il magico, senza esserlo. O forse lo è, magico, ma non lo sappiamo ancora?

Conclusioni.

Un romanzo ottimo, che non esiterei a definire eccellente se non facesse parte di una trilogia. Come tale, non narra vicende compiute. Spalanca i cancelli di una saga che si preannuncia indimenticabile, ma il cui "vero" giudizio non può che essere finale e complessivo.

L'Eretico offre molto. Però promette ancor di più. Un impegno pertanto arduo da mantenere, un patto col Lettore che dovrà trovare soddisfazione.

Per quel che mi riguarda, piena fiducia a Magdeburg.

Alan D. Altieri rispetterà il patto. Non ci deluderà.