Fermi tutti! E' tornato Tony Stark. E sono botte da orbi.

Non è proprio così Iron Man 2, ma quasi.

Assolto nel primo film il compito di narrare in qualche modo le origini del personaggio, nei secondi episodi, in una perfetta logica seriale, gli sceneggiatori si concentrano sulla evoluzione dei personaggi e di solito danno maggiore spessore ai comprimari. Così è stato per Spider-Man 2 e X-Men 2. Iron Man 2 non sfugge a questa legge, anche se il risultato è forse inferiore alle pur lodevoli intenzioni.

Andiamo con ordine. La direttiva originale di Stan Lee era: "supereroi con superproblemi". Favreau non abbandona questa direttiva. Se i problemi dovuti alle schegge nel cuore erano praticamente di contorno nel primo film, in questo film Theroux sceglie di caricare Tony Stark di ben due fardelli. Intanto il palladio che alimenta la sua armatura lo sta uccidendo. E ovviamente, ed è questo il secondo superproblema, Stark non può fare a meno di usarla. Non solo perchè si è rivelato al mondo, ma perchè essere Iron Man è la sua droga. E' l'idolo delle folle, acclamato e ossannato ovunque vada. Come fare a rinunciare a tutto questo?

Non è come essere alcolizzati, tema di una famosa sequenza di storie del personaggio a fumetti, chiamata "Il demone nella bottiglia", ma forse è anche peggio. Robert Downey Jr. non ha bisogno di ulteriori elogi. E' l'unico e vero Tony Stark, potrebbe interpretarlo anche con una emiparesi, sarebbe sempre una spanna sopra a tutto il cast.

Rourke fa quello che può. E forse sarà per il suo aspetto provato e bolso, ma risulta convincente nel ruolo del disfatto Ivan Vanko, ex assistente del padre di Tony Stark, che nutre rancore in virtù di una sua costruzione mentale, nella quale è lui il vero genio che ha realizzato il reattore nucleare, di cui poi Tony ha realizzato la versione in miniatura. E in effetti riuscirà anche lui nell'impresa di costruirne una versione ridotta per combattere Iron Man.

In effetti il vero antagonista nascosto dei due personaggi è proprio il padre di Tony, che l'operato pacifista del figlio sostanzialmente rinnega. Ma l'arrivo di Whiplash, con la sua dirompente entrata in scena, dimostra che sfuggire a una pesante eredità è molto difficile.

Sono forse gli unici due personaggi dotati di una certa profondità. Il variegato cast di comprimari è impegnato a dare a ogni personaggio un suo ruolo, che appare relegato a quanto serve alla vicenda.

Non riesco, per quanto mi sforzi, a vedere tridimensionalità o un vero e proprio vissuto pregresso per Justin Hammer per esempio, ruolo per il quale le buone capacità espressive di Sam Rockwell sono sprecate. Definirlo un antagonista per Stark è veramente troppo. Uno sparring-partner forse, messo in scena più per dare lustro a Tony che per farlo seriamente impegnare.

Anche Gwyneth Paltrow fa sostanzialmente da tappezzeria, molto carina ed elegante, vincente nella gara sulla classe con Scarlett Johansson, che interpreta una Vedova Nera che comunque farà passare molti ragazzini dall'infanzia alla pubertà in men che non si dica. Ma un bel corpo non dona necessariamente spessore a un personaggio. Altra occasione non sfruttata al meglio.

Nella sufficenza la prestazione di Don Cheadle, che interpreta il ruolo James Rhodey/War Machine, un militare serio e responsabile, pronto a combattere ma non compiaciuto di questo ruolo. Un guerriero amante della pace forse, che guarda a Tony con paternalismo e preoccupazione.

D'altra parte il ruolo del guerrafondaio è sostenuto dal Senatore Stern (Garry Shandling), un politico la cui massima aspirazione è quella di avere migliaia di armature.

Senza voto è Samuel L. Jackson, che gigioneggia molto nel ruolo di "Obi Wan Nick Fury". Ci vorrebbe uno spin off sul personaggio? Si ma lavorateci molto per favore, e leggete un po' del ciclo di Steranko magari.

Dove il film è allo stato dell'arte è nell'azione pura, a parte la già vista (ma al cinema sembra rinascere fidatevi!) scena del Gran Premio di Monaco, il resto dei combattimenti e delle scene d'azione è goduria pura.

Ma questa è ordinaria amministrazione, i soldi c'erano, i tecnici qualificati pure, Favreau è riuscito nell'impresa come un bravo project manager, che fa lavorare al meglio i professionisti semplicemente lasciandoli fare.