Allora, alla fine ce l'ha fatto o no Sir Peter Jackson nella titanica impresa di portare sugli schermi una versione cinematografica de Lo Hobbit che fosse allo stesso tempo fedele all'originale e appetibile per tutti i fan dei film de Il Signore degli Anelli?

Il pubblico è già diviso e per par condicio dovremmo riportare le emozioni contrastanti che la visione del film può provocare allo spettatore. 

Essendo io uno e uno solo, dovrò quindi dividere la mia psiche in due personalità contrastanti, prendendo a modello la devianza narrativa del Gollum che tutto fa partire e tutto conclude.

Qui di seguito, i giudizi e le impressioni di due differenti personalità: una innamorata di ciò che ha appena visto, l'altra delusa e amareggiata per l'occasione mancata.

La prima personalità, che fra amici si fa chiamare Dudo Bramble di Willowbottom, è entrata al cinema da sola, ha prenotato i biglietti e scelto con cura la poltrona che gli fornisse la visuale perfetta per non perdere neanche un fotogramma del film Lo Hobbit: un viaggio inaspettato. E' una personalità mite, che ha rispetto per chi leggerà la recensione e quindi non si azzarderà a dare spoiler o anticipazioni che potrebbero rovinare la visione del film.

La seconda personalità, che nella solitudine del suo monolocale si è auto-nominato Alkanaro Palantìr, è scura, scorbutica e non gliene frega nulla degli altri. Ricerca solo la sua soddisfazione a scapito di chi ha l'ardire di leggere ciò che la sua mente contorta lo obbliga a scrivere. Il biglietto l'ha comprato all'ultimo minuto, per snobberia nerd più che altro, e ha quindi visto l'intero film accanto a una Cosplayer brutta, vestita da nana - con tanto di barba vera - che durante la visione del film ha continuato imperterrita a messaggiare entusiasta gli amici del blog con il suo luminosissimo telefonino. 

Va detto però, per onor di cronaca, che le due personalità adorano allo stesso modo Tolkien, il suo mondo e tutto quello che ci ruota intorno. Film compresi. 

Iniziamo con la recensione di Dudo.

Diciamolo: tutta questa attesa è valsa la pena! L'esperienza della visione di questo primo capitolo della nuova trilogia targata Sir Peter Jackson è qualcosa non di inaspettato ma una vera e propria conferma del talento di uno dei cineasti più sorprendenti delle ultime decadi.

Parliamo subito della questione 48 fotogrammi al secondo che, a leggere in rete, procurerebbero fastidiosi effetti sulla vista peggiorati da casi di cefalee. 

Posso parlare per il mio caso: non ho provato nessuno di questi sintomi ma, al contrario, mi sono goduto ogni inquadratura, ogni dettaglio che la pellicola offriva. Dirò di più: per la prima volta ho seguito le carrellate veloci, i cambi di campo e le azioni concitate senza quell'irritante sfarfallio che è cronico di ogni pellicola in 3D. Il risultato è che mi sono dimenticato anche di questo artificio. Quindi, come per ogni buon trucco: se non ti accorgi che c'è, allora funziona.

Se Sir Peter Jackson ha voluto sperimentare questa nuova tecnologia a beneficio delle generazioni future, si può dire senza tema di smentita che c'è riuscito al cento per cento. Perché trovarsi di fronte a un prodotto di questo livello genera in noi quel senso di inspiegabile stupore che ci lascia sorpresi per il primo rullo, senza darci la possibilità di capire se ci piace o no. Poi subentra la magia che ci cattura: ci si dimentica di questo particolare tecnico e ci si immerge nella storia pienamente e incondizionatamente.

Non vedo cosa ci sia di male a vedere delle immagini straordinariamente nitide, definite e con dei neri che siano, per la prima volta, neri. Certo, una definizione così ad alto livello non sarà alla portata di tutti, perché le imperfezioni di scenografia o di costumi o di composting vengono subito amplificate. Cosa che non succede, ovviamente, nella pellicola di Jackson dove ogni dettagli è curato in maniera quasi maniacale.

Con questa forza tecnologica, a dir poco sorprendente, è probabile che questo primo film sarà ricordato dagli studiosi della settima arte del futuro come "l'epica che caratterizzò l'epistemologia evoluzionistica della tecnica cinematografica rappresentato nella seconda decade del nuovo millennio."

Ma andiamo alla storia, con una  sinossi e una premessa.

Di che cosa parla Lo Hobbit?

"Molti anni prima che la Compagnia dell'Anello iniziasse il suo viaggio verso il Monte Fato, un Hobbit di nome Bilbo Baggins si godeva la calma e la tranquillità della Contea, gustandosi i piaceri semplici che questa offriva senza preoccuparsi troppo di ciò che avveniva nel mondo esterno. Questa pace, un giorno, viene del tutto sconvolta dalla venuta di uno strano mago: Gandalf il Grigio che si presenta alla sua porta e lascia su di essa un simbolo. Da lì a poco la tranquillità di casa Baggins cessa man mano di esistere con l'arrivo scaglionato di tredici nani, capitanati da Thorin Scudodiquercia che, senza fare troppi complimenti, prende possesso della sua casa e, soprattutto, della sua dispensa. Il motivo di questa invasione è il reclutamento di un refrattario Bilbo che però alla fine cede alla curiosità per l'avventura. L'hobbit intraprenderà così un viaggio che lo porterà ad aiutare il gruppo di nani nella riconquista di Erebor, il loro antico regno, da tempo soggiogato dal potente Smaug: un drago avido dell'oro e delle ricchezze che con grande fatica il popolo dei nani ha accumulato proprio dentro la loro città."

Come affrontare questa storia all'apparenza molto semplice e classica?

Tenendo conto che il termine "classico", per una storia come Lo Hobbit, è arrivato dopo la pubblicazione dello stesso, il team creativo composto da Fran Walsh, Guillermo Del Toro e, ovviamente, Jackson ha avuto il suo bel da fare per accontentare la casa madre che, in piena produzione, ha voluto massimizzare gli introiti aggiungendo un altro capitolo ai due precedentemente programmati. Quello che ne sarebbe potuto conseguire sarebbe stato un "annacquamento" di tutta la nuova trilogia. Ma qui stiamo parlando del creatore della più famosa saga fantasy cinematografica degli ultimi decenni e quindi e facile immaginare, oltre il suo cipiglio battagliero, la devozione rivolta, prima che ai suoi fan, al proprio lavoro.

Aggiungiamo a questo il fatto che Lo Hobbit, siamo sinceri, non ha la portata epica di una storia come Il Signore degli Anelli, è facile immaginare che se si tira troppo la corda con le lungaggini lo sbadiglio dello spettatore è sempre dietro l'angolo.

Ma Jackson si è dato da fare e quello che ne è venuto fuori è un prodotto che ha saccheggiato positivamente tutti le appendici che il buon Tolkien ha lasciato ai suoi lettori per capire meglio il suo fantastico mondo. Elementi fondamentali per una storia che è stata la responsabile di tutti gli sconvolgimenti che da lì a sessant'anni sconvolgeranno l'intera Terra di Mezzo.

Per quello che riguarda i personaggi, la scelta di Jackson è stata quella di centellinare l'introspezione degli stessi, limitando le informazioni di background a solo due membri della compagnia nanesca. Infatti, per chi non fosse un cultore dell'intera opera omnia di Tolkien è praticamente impossibile ricordarsi i nomi di tutti e tredici i membri. Bisogna però considerare che avremo tre film per impararli tutti e quindi una scorpacciata di biografie tutte inserite nel primo capitolo sarebbe potuto risultare indigesta ai più.

Parlando invece dei camei di Bilbo vecchio, Frodo, Galadriel ed Elrond possiamo dire che il loro inserimento nella storia è tutto tranne che strumentale, perché la loro presenza diventa parte integrante di un racconto complesso che affonda le sue radici in un arco narrativo molto più vasto di quello presentato dal solo Hobbit. Quindi il semplice ammiccamento commerciale rivolto al pubblico, tanto temuto dai fan, è scampato. 

L'unica nota negativa che si potrebbe dire sul film è che alcune scene come la "presa" di casa Baggins o combattimenti seguiti subito da altri di uguale intensità e lunghezza sarebbero potuti essere più asciutti. Ma nel complesso si può dire che l'esperienza è completamente appagante e fornisce, anche ai più digiuni di Tolkien, tutti gli elementi per gustarsi ogni sfumatura della storia.

Probabilmenti alcuni puristi potrebbero dire che, giustamente, alcune "licenze poetiche" sarebbero potute essere evitate ma qui entriamo nella sempiterna diatriba del libro che viene trasposto su pellicola. Inutile dire che i due mezzi possono comunicare ma parlano lingue completamente diverse. Già nel Signore degli Anelli Sir Peter Jackson aveva "osato" prendersi delle libertà. Decisione assolutamente arbitraria che è propria di qualsiasi regista. Lo Hobbit: un viaggio inaspettato segue la stessa linea e vince negli intenti e nella realizzazione. 

Ultima nota che riguarda la lunghezza del film. E qui va il plauso maggiore per il regista che, avendo non più due ma ben tre pellicole da realizzare, si sarebbe potuto accontentare di una durata di novanta minuti e invece se n'è concesso ben centosessantanove, proprio perché lui, in qualità di primo fan delle opere di Tolkien, si sarebbe sentito tradito da una tempistica minore per raccontare un'epica così vasta.

In definitiva Lo Hobbit: un viaggio inaspettato è un'esperienza che va assolutamente vissuta, sia per gli appassionati di Tolkien sia per quelli a cui piacciono le storie e le ambientazioni epiche. Ma, se vogliamo, anche per coloro che vogliono tenersi al passo con i tempi e sperimentare un nuovo modo di intendere e "vedere" il cinema.

Finiamo con la recensione di Alkanaro.

Avevo aspettato tanto questo film. Mi ero visto tutti e dodici le versione del trailer. Sia quelli cinematografici che quelli televisivi. Mi era venuta la pelle d'oca a sentire il nuovo doppiatore di Gandalf (un fin troppo riconoscibile Gigi Proietti che ci fa rimpiangere lo scomparso Gianni Musy). Mi sono sorbettato anche tutti i diari di lavorazione perché volevo, fortissimevolmente volevo, che questo film non si risolvesse in una fracassonata all'americana dove l'azione prende il sopravvento sulla storia. Invece...

Invece è proprio così.

Parliamoci chiaro: Jackson da Pukera Bay non è nuovo alle tamarrate, un tratto distintivo che me lo aveva fatto amare in Bad Taste - suo film spazzatura d'esordio - e l'incommensurabile Splatter lo Schizzacervelli

Gli avevo anche perdonato l'elfo che faceva Tony Hawk con scudo ai piedi sulle scalinate del Fosso di Helm. Ci poteva stare e, lo ammetto, solo lui poteva mettercelo. Ma qui stiamo parlando di un libro che è un decimo de il Signore degli Anelli e che in questo film ha la pretesa di avere lo stesso spessore epico e vasto di un lavoro molto più strutturato e destinato non solo a un pubblico di pubescenti.

Per chi non lo sapesse, qui si parla della storia che narra l'avventura che cambiò la vita di Bilbo. Un'avventura che lo porterà, in compagnia di tredici nani, alla riconquista della loro città perduta. Ci sarà anche un drago da affrontare e tutti poi saranno felici e contenti. Punto. 

Ditemi voi se una trama del genere che, sotto la stessa ammissione dell'autore, era stata destinata ai bambini può competere come intensità con il sopra citato colosso dell'epica fantasy? Da notare che la prima recensione che venne fatta a Lo Hobbit fu redatta dal suo nipotino. Ho detto tutto.

Sul lato tecnico c'è un dettaglio che non ho capito: ma in cosa dovrebbe essere così innovativo questo famigerato 48 fps? Io non ho notato alcuna differenza. Anzi, a tratti, l'ho trovato persino fastidioso, con tutti questi colori così netti che fanno subito capire che dietro al prodotto non c'è la sana e buona vecchia pellicola ma solo una fredda e calcolatrice macchina digitale. A onor del vero però, il fatto che non abbia notato alcuna differenza potrebbe essere il lato positivo della faccenda. Comuqnue, ai fini della godibilità del film, avrei potuto tranquillamente vederlo in 24 fps e immagino che sarebbe stato lo stesso. Non sono uno di quei puristi che ascolta un vinile sull'impianto da migliaia di euro, per sentire quella smutatura che ai più sfugge. Non ho l'orecchio e nè mi interessa averlo. Lo stesso vale per il film, e non sono i 48 fotogrammi al secondo che mi faranno cambiare idea su un film troppo lungo, un po' sfilacciato e con tanti di quei nomi che è impossibile ricordarli tutti.

Ma andiamo con ordine: i nani

Quelli che dovrebbero essere la parte integrante del racconto sono ridotti a mere comparse. Non mi ricordo il nome del nano ciccione, nè di quello timido e nemmeno del fighettino che ha la barba più corta degli altri. Qui l'attenzione si sofferma solo sul capo Thorin e del suo vecchio compagno d'arme Balin. Gli altri sono volutamente lasciati all'oblio e forse saranno più presenti nei prossimi due capitoli cinematografici. Il problema è che io ho pagato un biglietto e in questo film ho un Bilbo che, a parte i sopracitati e Gandalf, si muove al seguito di altre undici comparse. Il risultato è che si perde subito la voglia di appassionarsi alle loro storie e, ancora peggio, alla loro incolumità.

Sempre parlando di nani, passiamo quindi a quella che è la scena più noiosa dell'intero film: la lunghissima ed estenuante presenza in casa Baggings dove non si canta una ma ben due canzoni naniche che sembrano uscite da uno dei peggiori film Disney dove, senza alcuna ragione sensata, qualcuno prende e inizia a cantare. A un certo punto ho anche pensato che la teiera e i piatti prendessero vita in forma antropomorfa per unirsi al coro. Devastante.

Gli errori di continuity

Questo è uno degli aspetti che ho più odiato del film perchè non ci puoi mettere un Bilbo che prende l'anello in un modo nella Trilogia dell'Anello per poi rifare tutto in altro modo come se la scena fosse stata girata da un altro regista. E' scorretto e stupido. Stesso discorso vale per i troll che ne Il Signore degli Anelli vengono mostrati pietrificati in una posizione che non è quella che vediamo qui. Io mi domando: ma cosa gli costava prender le stesse statue?

I personaggi digitali

Ok per Gollum ma il capo albino/verde degli orchi tutto in digitale mi ha fatto pensare di essere di fronte a un videogioco. Dopo l'ennesima fuga con il gruppo completamente in CGI, scivoloni in tunnel da coin-op, a un certo punto ho cercato a lato della poltrona dove fosse il pad per poter interagire. Mi spiace, ma l'eccessiva digitalizzazione di tutto l'impianto ha fortemente inficiato la forza meravigliosamente analogica della storia.

Bilbo giovane

Anche se interpretato da un attore di valore innegabile come Martin Freeman la versione che abbiamo in questo film si discosta totalmente da quella che tutti abbiamo imparato a conoscere e che nello stesso film possiamo mettere a confronto. Se il vecchio Bilbo risulta ancora curioso e vitale, il Bilbo interpretato da Freeman ha urgente bisogno di un analista. Le sue mossette, i tic e le smorfie che propone lo riducono molto spesso a una mera macchietta. Ma questo è lo spirito di un po' tutta questa produzione che si lascia andare a facili scene di "guittume" da avanspettacolo e autocompiacimento derivato dal troppo successo.

I camei dei personaggi apparsi nella Trilogia precedente

Ridondanti, appiccicati con lo sputo e a tratti gratuiti. Potevano tranquillamente non esserci. Soprattutto quando vediamo la scena di raccordo con Frodo e il vecchio Bilbo. Va bene la strizzata d'occhio, ma qui si è veramente esagerato. Si capisce perfettamente il motivo di questi inserti: non c'è abbastanza "ciccia" da mettere nella storia e quindi bisogna abbassarsi a questi trucchetti piacioni.

L'allungamento della broda

Era inevitabile: per poter realizzare tre film si doveva allungare il tutto e quindi ci troviamo di fronte a scene imbarazzantemente lunghe e inutili che soffocano quelle che in realtà tutti vorremmo vedere. L'uso dei flashback ne Lo Hobbit: un viaggio inaspettato sono il sintomo che qualcosa non funziona, perché qui non ci troviamo di fronte alla versione in DVD extended. Qui abbiamo un film che per la versione casalinga dovrà essere ulteriormente allungato. Mi domando che cosa non s'inventeranno per rendere appetibile quei DVD, ma temo che ci sarà un ulteriore allungamento, e vi garantisco che già così è già oltre il sopportabile, del reclutamento a casa Baggins. Magari con l'aggiunta di un'altra canzoncina.

Giudizio finale

Come tutti abbiamo temuto la trasposizione de lo Hobbit risente di un meccanismo crudele e senz'anima che ha l'unico obiettivo di fare cassa e farla in fretta. A differenza della precedente trilogia, alla fine del film ci chiediamo per quale motivo, visto che le aquile ci sono in numero sufficiente, non si possa portare a destinazione l'intera combriccola, senza il fastidio dei pattugliamenti aerei dei Nazgul, e risolvere velocemente la questione, mettendo fine a un lungo e inutile viaggio via terra.

Delusione, imbarazzo e noia sono i sentimenti che dovete aspettarvi dalla visione di questo film. 

Ma lo ammetto: sono gli stessi sentimenti che avevo provato guardando i primi film di Jackson. Il fatto che ora li adoro metterebbe in discussione tutto quello che ho scritto finora. Non so. Mi sento confuso... tesssoro!