Dedodar lo accompagnò fuori con lo sguardo, poi lanciò un sorriso d’intesa a Smirer.

— Non abbiamo nessuna intenzione di comperarla! — sghignazzò, infilzando un granchio con il coltello. 

Liberò le falcombe quella sera stessa. I grandi uccelli, furiosi per i mesi di prigionia, aprirono le ali e si diressero verso casa, ognuna con un cilindro di piombo legato tra le zampe. Volarono per mesi. Una  fu divorata da un drago-aquila e un’altra ebbe le ali spezzate da una tromba d’aria. Ma nell’ottavo anniversario della morte di Altea, la terza falcomba, magra e ferita, grattò con gli artigli sul vetro della sala reale.

Andor lesse il messaggio e urlò di gioia. 

In breve radunò un esercito, rastrellando i pochi contadini e lavoratori non ancora impegnati nel Cantiere. Non risparmiò né adolescenti né anziani. 

Prima di partire per la lontana isola chiamò Conrad, il fidato e spietato capitano delle guardie reali.

— Ti affido l’Amministrazione del Regno. I lavori del Cantiere non dovranno interrompersi. Poiché Dikaria non ha più cibo a sufficienza per abitanti e operai, occupa i campi di grano di Fremen.

Il capitano lo guardò dubbioso, Andor rispose con un’alzata di spalle. 

La marcia del Re durò un anno. Discese il Teuden, attraversò l’infido delta e il grande lago entrando a Hormuz, dove trovò a attenderlo Decanor e Smirer, tornati da Guarto. 

Dapprima negoziò l’acquisto di velieri. Alla fine, spazientito dalle trattative logoranti, si impossessò della città, la incendiò e rubò tutti le navi disponibili, assieme agli equipaggi. Lasciò una guarnigione a presidio e partì in fretta e furia.

Un mattino di maggio i doganieri di Guarto avvistarono all’orizzonte le sagome di numerose imbarcazioni, piccoli punti davanti al sole che sorgeva pigro in un cielo rosa. Nessuno comprese la natura della flotta sino a quando i soldati stranieri, affamati e provati, sciamarono sulle banchine del porto, correndo con le armi in pugno verso il centro della città.

Andor non ebbe pietà. Torturò i maestri muratori, impiccò apprendisti, affogò mogli e bambini, non si arrese finché non ottenne la formula della Giada d’Acciaio, assieme a mille sacchi del prezioso composto. Una volta riempite le navi richiamò i soldati e salutò con le vele al vento i resti fumanti della città.

Durante il viaggio di ritorno non fece che immaginare archi verde smeraldo che si intrecciavano sopra le cupole del Mausoleo.

La carovana tornò a Dikaria nel decimo anniversario della morte di Altea. Per Andor non era un caso, ma un segno del Destino. Spronò il cavallo verso l’ultima collina che lo separava da casa.

Una volta raggiunta la cima si fermò. Rimase immobile, la bocca spalancata per lo stupore. Un sudore freddo iniziò a bagnargli la schiena.

Il Mausoleo era scomparso. 

Al posto del Cantiere c’era solo una spianata di fango, estesa per chilometri. I ponteggi, i depositi, le tre grandi cupole di marmo bianco, tutto sparito.

Ciò che lo attendeva era invece un esercito in assetto da guerra. In prima fila riconobbe il capitano Conrad.

 — Che cosa è successo? — urlò Andor disperato — Cosa avete fatto al mio Mausoleo?

 Per tutta risposta una freccia sibilò nell’aria, passandogli accanto.

— Maestà — esclamò Conrad — In vostra assenza c’è stato un Consiglio. 

— Un Consiglio?

— Vi hanno preso parte Fame, Carestia, Povertà, Malcontento. Oltre al popolo sovrano. 

— Il popolo sovrano? — disse Andor inorridito, sputando le parole — Da quando il popolo è diventato sovrano? 

Conrad si avvicinò, scortato dagli arcieri. — Da quando il potere Reale è divenuto ingiusto e feroce. Ma non preoccupatevi, Maestà. I vostri progetti non andranno perduti.

Sette giorni dopo, l’intera popolazione di Dikaria e dei Regni limitrofi se ne stava assiepata nel terreno dove era sorto il Cantiere. Tutto era stato smantellato e distribuito in segno di risarcimento: i marmi pregiati, i lapislazzuli, le pietre preziose, i legnami, le corde, persino gli attrezzi.

Era primavera, il sole scintillava alto nel cielo e l’erba, di un verde acceso, riempiva le colline.

Una grande vasca sospesa a un ponteggio munito di corde e carrucole dominava la scena. I maestri carpentieri la riempirono d’acqua e vi versarono cento sacchi della mistura di Guarto. 

Decanor l’Architetto dirigeva i lavori, con accanto il fido Smirer. I due avevano prestato subito giuramento di lealtà al nuovo sovrano, Conrad, rinnegando il Re.

Quando si formò la pasta della Giada D’Acciaio, i soldati trascinarono Andor, incatenato alla bara della amata Altea, sotto la vasca.

Al segnale stabilito - un colpo di campana - tagliarono le corde di sostegno di un lato. La vasca si ribaltò e la Giada colò sopra il sovrano. Un urlò di gioia salì verso il cielo.

Ancora oggi, dopo cinque secoli, il viaggiator che passa per Dikaria può visitare Il Mausoleo di Smeraldo. 

Una luccicante bolla vetrosa e indistruttibile. Accostando il viso alla superficie è possibile persino scorgere Andor il Costruttore, con gli occhi ancora spalancati per l’orrore, abbracciato per l’eternità alla sua regina.