Gli orchi non erano poi tanto malvagi, a patto che non li si andasse a stuzzicare. Occorreva rassegnarsi all’idea che, di quando in quando, magari a seguito di un’oscura lite tra le file dei pari, una creatura potesse piombare su un villaggio in preda a una collera tremenda e, incurante di strepiti e turbinare d’armi, massacrare chiunque fosse troppo tardo per scansarsi. O che di quando in quando un orco si portasse via nella nebbia un neonato. Alla gente dell’epoca toccava prendere simili oltraggi con filosofia.

In una di queste contrade, ai margini di un’ampia torbiera e all’ombra di una cresta montuosa, vivevano due vecchi, Axl e Beatrice. Forse non erano questi i loro nomi esatti o completi, ma per comodità noi li chiameremo d’ora in poi così.

Una manciata di righe provenienti dalle prime due pagine di Il gigante sepolto di Kazuo Ishiguro. Chi – o meglio cosa – sia questo gigante sepolto si scoprirà solo verso la fine del romanzo, quella che si percepisce fin dall’inizio è l’atmosfera quasi da fiaba. Il tempo del racconto è indeterminato, anche se più avanti la comparsa dell’anziano cavaliere Galvano situerà la storia non molto dopo l’era di Artù, il paesaggio è sfumato come la nebbia che cela gli orchi e che pian piano si sta portando via i ricordi dei protagonisti e gli stessi protagonisti appaiono in parte sfumati visto che neppure i loro nomi sono certi.

Axl e Beatrice, per comodità li chiameremo così, percorrono faticosamente i sentieri della loro contrada per recersi nel villaggio vicino dove è andato a vivere il loro unico figlio. Sono anziani, il che significa che per loro anche un breve viaggio è impegnativo, non tanto per gli orchi, che non appariranno mai in carne e ossa in queste pagine, quanto per il lento logorio della vita e per quella nebbia che ottunde tutto quanto. L’atmosfera generale è pregna di pacata malinconia, anche nel momento in cui la parola passerà alle armi, durante un duello o nel bel mezzo di un agguato, non c’è mai trepidazione, mai paura per quello che potrebbe accadere, e pure la morte è vista con un certo distacco. Ishiguro sa come usare le parole e con uno stile limpido fa percorrere al lettore un lungo viaggio che lo porterà a riflettere su temi importanti quali la giustizia, la memoria e il rapporto fra popolazioni diverse. Sarebbe tutto perfetto… se Il gigante sepolto fosse solo una riflessione su determinati argomenti e non anche un romanzo.

Dire che aveva ragione Ursula K. Le Guin è fin troppo facile, ma come spesso le accade la scrittrice statunitense ha centrato il punto. Quando Ishiguro, all’inizio dell’anno, si era chiesto se i suoi lettori lo avrebbero seguito e sarebbero riusciti a capire quello che lui stava cercando di fare con Il gigante sepolto, o se sarebbero stati bloccati dai pregiudizi contro gli elementi di superficie e avrebbero ignorato o sottovalutato l’opera in quanto fantasy, la Le Guin aveva sottolineato come il collega aveva parlato di elementi di superficie. Che, all’interno della storia, sono gli orchi, una nebbia magica e un drago, e gli ultimi due si trovano proprio nel cuore del romanzo, che non potrebbe stare in piedi senza di loro. In più nell’ambito del fantastico si potrebbero annoverare anche i due barcaioli e Galvano, la cui presenza al posto di un anonimo cavaliere medievale non è certo casuale, tutti elementi fondamentali per la storia.

Per quanto l’opera, da un punto di vista stilistico, sia ineccepibile, a livello narrativo non funziona come avrebbe potuto perché l’autore ha usato gli elementi di un genere senza prenderli sul serio. Come ha affermato un altro grande scrittore, Neil Gaiman, la sensazione che nella nebbia si nasconda un’allegoria pronta a sorprendere l’incauto lettore rende il romanzo facile da ammirare e difficile da amare.