The child is grown, the dream is gone.

"Rubo" questo verso ai Pink Floyd per condensare sinteticamente le sensazioni scatenate dalla lettura di Harry Potter and the Cursed Child – Parts One and Two, il sequel di cui – forse – non avevamo bisogno. Ma andiamo con ordine.

Parlando di The Cursed Child vanno fatte alcune premesse: la prima è che questa recensione si riferisce alla sceneggiatura pubblicata da Little, Brown & Co. dello spettacolo teatrale omonimo fresco di debutto londinese e non allo spettacolo stesso: che la messa in scena possa fare un effetto diverso con il supporto del cast, delle musiche e dell'allestimento scenico è fuor di dubbio. La seconda premessa è che non stiamo parlando di un romanzo ma di una sceneggiatura: mancano quasi del tutto le descrizioni delle ambientazioni – se non in apertura delle scene – e abbiamo poche occasioni di conoscere i sentimenti dei personaggi, a meno che ci vengano rivelati in modo esplicito da azioni e dialoghi. La terza premessa è che, come specificato sin dalla copertina, Harry Potter and the Cursed Child è sì tratto da una storia originale di J.K. Rowling, ma è stato scritto da John Tiffany e Jack Thorne. Date queste premesse, mi concentrerò su quello che più attiene noi come lettori di fantastico, ovvero la storia ideata da J.K. Rowling. La recensione non conterrà spoiler e si limiterà a commentare alcuni elementi imprescindibili per motivare i giudizi espressi. 

Insieme alla Mauauders’ Era, la nuova generazione di Potter, Granger-Weasley e Malfoy è stata una delle più fertili tracce narrative esplorate dalla fanfiction dopo la pubblicazione di Harry Potter e i doni della morte. La sensazione che si prova leggendo alcuni – svariati – passaggi di The Cursed Child è di leggere la rielaborazione di un appassionato, con “what if” dal retrogusto apocrifo, a partire dallo sviluppo di Albus Severus Potter e Scorpius Malfoy, protagonisti indiscussi della storia, fino al personaggio di Delphi. Ancora, altri passaggi sembrano inseriti nella sceneggiatura per il puro gusto del “drama”, niente affatto in linea con la coerenza nello sviluppo dei personaggi a noi già noti, soprattutto Harry (per niente maturo e a tratti un padre peggiore di Vernon Dursley) e Ron, molto più vicino al Ron dei film (un idiota) che ai Ron dei libri (un personaggio complesso, divertente e intelligente). A fronte di una Hermione nel complesso poco presente, abbiamo un Draco Malfoy che risente delle numerose riletture in chiave “romantica” date dal pubblico al suo personaggio. Oltre al trio (con l’aggiunta di Draco) vengono ripresi alcuni personaggi di cui francamente avremmo fatto a meno, a riprova che The Cursed Child è più un seguito alla versione cinematografica Warner Bros. del mondo di Harry Potter che al mondo cartaceo di J.K. Rowling. 

Anche l’artificio su cui si regge l’intera narrazione – che vi anticipiamo perché, restando sul generale, non si tratta di un grosso spoiler – ovvero il tema del viaggio nel tempo, sa di già visto/letto e rafforza l’impressione di voler giocare con una materia già pronta e non voler scommettere su qualcosa di più originale. 

E quindi, rispondendo all'annosa questione: The Cursed Child, sì o no? Nonostante tutto, sì. Perché anche se si tratta di un’opera imperfetta, che riprende alcune cose tralasciandone altre e ci fa dolorosamente capire che Harry è ormai un uomo adulto e la magia è svanita, c’è ancora un qualcosa non intaccato dagli anni che passano e, a un certo punto, dopo un inizio arrancante, si rientra nel loop e si legge, ancora una volta (per l’ultima volta?) una storia che in qualche modo ci ha cambiato tutti. Che scegliate la versione italiana, pronta a settembre per Salani, quella inglese di Little, Brown & Co. o voliate a Londra per assistere allo spettacolo, mettetevi comodi: finché non sarà consumata l’ultima scintilla, che la magia continui.