Il film Alita – Angelo della battaglia esce a quasi vent’anni dal suo originario concepimento. All’inizio del corrente millennio, il regista Guillermo Del Toro aveva infatti suggerito l’omonimo manga al collega James Cameron, il quale era rimasto tanto colpito dall’insistere nel contattare immediatamente 20th Century Fox per imbastirne un adattamento live action. Gli studios avevano già registrato il dominio web "battleangelalita.com" quando Cameron decise di concentrarsi a tempo pieno sul suo Avatar. Dopo infiniti rimandi il titolo è finito nelle mani del fu delfino di Quentin Tarantino, Robert Rodriguez (El Mariachi, Dal tramonto all’alba). Quella di Alita è stata insomma una gestazione lunga e travagliata e il film ne porta i segni.

Lost Sheep – Trama

Sono passati più di tre secoli dalla guerra interplanetaria che ha decimato gli esseri umani. I pochi sopravvissuti hanno trovato rifugio nella diroccata “città discarica”, una metropoli diroccata che sopravvive in simbiosi alla lucente Zalem, l’unica città volante che ha resistito alle feroci battaglie. Nei bassifondi intasati dai rifiuti, il dottore Dyson Ido (Christoph Walz) si imbatte nel busto danneggiato di un “core”, una macchina antropomorfa le cui fattezze e programmazione mimano le peculiarità di una giovane adolescente.

Il cyborg, ribattezzato Alita (Rosa Salazar), dimostra sin da subito di aver subito danni significativi alla memoria; ogni giorno si impone pertanto di esplorare il mondo sconosciuto che la circonda, nella speranza di incappare indizi che dipanino il suo misterioso passato. Proprio in una di queste scorribande, la ragazza si imbatte in un giovanotto di strada dall’indole ribelle, Hugo (Keean Johnson), instaurando un’amicizia romantica che urta l’iperprotettivo Dr. Ido. Complici i dissapori sviluppatisi, Alita inizia a dubitare della buona fede del padre putativo, arrivando persino a pedinarlo per verificarne la buona fede. Proprio mentre è concentrata sull’inseguimento, l’adolescente si imbatte in una squadriglia di robot ricercati, ingaggiando con loro un combattimento che inizia a fare riaffiorare le memorie soppresse.

Beyond the sky – Comparto tecnico

Nonostante la pellicola sia formalmente di Robert Rodriguez, poco o nulla rimane dello stile inconfondibile del regista texano. È l’influenza di James Cameron a essere evidente. Il comparto tecnico è chiaramente debitore della tecnologia sviluppata per Avatar: il 3D è discreto e raffinato, non un semplice escamotage ludico, ma una strategia elegante che crea una dimensione immersiva in un mondo particolarmente vivo e dettagliato.

I suq che compongono il paesaggio sono un dedalo di colori orientaleggianti impreziositi da cromature cyberpunk decadenti. Scenografi e character designer hanno investito le proprie energie in un lavoro certosino magistralmente valorizzato dalla sapiente fotografia di Bill Pope (Scott Pilgrim VS. The World, Matrix). Meno lusinghiere sono le opinioni sul montaggio. Rodriguez ha generato un agglomerato di topoi cinematografici cuciti assieme in maniera grossolana. I tagli sono bruschi e poco eleganti, lasciano l’impressione che si sia fatto di tutto per salvare qualche minuto di metraggio da una pellicola decisamente troppo lunga per il suo stesso bene.

Tears Signs – Il copione

Alle volte la troppa passione può danneggiare un film. James Cameron ha più volte scavalcato il regista per imporre la sua visione cinematografica. Egli ha attinto a piene mani dal fumetto senza però comprenderne la portata filosofica e ne ha cannibalizzato la trama, finendo col dare più importanza all’estetica che ai contenuti. Il risultato è lo stratificarsi di eroi e avversari che non trovano spazio d’approfondimento, sterili, si limitano a essere comparse della propria storia. 

I premi oscar Jennifer Connelly (Labyrinth, Requiem for a Dream) e Mahershala Ali (Moonlight, Green Book) – ma anche il talentuoso Edward Norton (Eliminate Smoochy, Birdman) – sono assolutamente sprecati in ruoli formalmente importanti che patiscono dell’essere sviluppati con disattenzione e noncuranza. La sensazione di massima è che Rodriguez si sia trovato a dover masticare più del dovuto, incorporando nella pellicola due o tre archi narrativi che avrebbero certamente guadagnato nell’essere frammentati in una trilogia.

Epitaph – Conclusioni

Se avesse avuto carta bianca, Robert Rodriguez avrebbe probabilmente fatto di Alita – Angelo della battaglia il suo Pacific Rim, concentrandosi su robot che si massacrano con coreografiche puerilmente entusiasmanti. Purtroppo così non è stato, le influenze esterne hanno schiacciato l’irriverenza sopra le righe del regista e il risultato è un prodotto gradevole alla vista, ma completamente prosciugato di brio e interesse. Alita offre un mondo interessante e qualche – brevissima – scena d’azione, ma per il resto è privo di interesse, privo di identità. Un’occasione sprecata, ma con buone intenzioni.