Nel recensire George R. R. Martin, oggi e in futuro, rispetterò la sua opera.

Semplice premessa e preciso intendimento: non recensirò come due romanzi ciò che è nato come un romanzo unico. E per un motivo molto semplice: l’autore ha scritto A Game of Thrones, un’opera il cui valore può essere riconosciuto soltanto se la si considera nella sua interezza. Recensirlo a pezzi, ossia seguendo l’edizione italiana, costituita da Il trono di spade e Il grande inverno, sarebbe un errore. Peggio, sarebbe una mancanza di rispetto nei confronti di George Martin stesso.

Il prologo di questo primo romanzo della saga, che Martin ha intitolato A Song of Ice and Fire (tradotto come “Le cronache del ghiaccio e del fuoco”), ci catapulta oltre l’enorme Barriera di ghiaccio che protegge i Sette Regni dai bruti che vivono nell’estremo nord. Tre Guardiani della Notte, ranger di nero vestiti che presidiano la Barriera, stanno perlustrando una foresta stregata. Qui si scontrano con gli Estranei - sorta indefinibile di non-morti - e Waymar Royce, uno dei ranger, ha la peggio. Durante lo scontro è lo stesso Royce, ormai divenuto un Estraneo, a uccidere il secondo dei tre. Il terzo riesce a fuggire.

A Game of Thrones è il primo romanzo di una saga che ne conterà cinque o sei (stando alle voci attuali). Per questo motivo è impensabile produrre un breve riassunto che ne introduca le vicende, se non limitandosi al solo prologo. I personaggi sono talmente tanti, che è inutile soffermarsi anche stringatamente sui principali. Se non altro lo scopo della vicenda è palese: illustra la lotta per la conquista del Trono di Spade e quindi del dominio sui Sette Regni; ma anche in questo caso un breve riassunto introduttivo sarebbe fallimentare, tante sono le trame e sottotrame.

Ciò che si nota subito è la scelta fatta da Martin relativamente al punto di vista narrativo. Ogni capitolo ha per titolo il nome di uno dei personaggi e il contenuto descrive eventi visti dal personaggio in questione. Se per certi versi la scelta è felice, perché permette di vivere più intensamente quanto avviene, per altri non lo è: se qualche personaggio risulta particolarmente antipatico, cosa che a me è accaduta, a volte i capitoli a lui dedicati divengono una lettura pesante.

A Game of Thrones è un romanzo piuttosto voluminoso (se si sommano le pagine dei due volumi che lo formano nell’edizione italiana, si supera il tetto delle 800 pagine) e come tale ha un inizio un po’ lento. Il peso del progetto di Martin si avverte tutto in questo primo romanzo, che deve dire molte più cose dei suoi seguiti, forti di un’ambientazione già spiegata. Tuttavia, superati i primi capitoli, ci si trova invischiati in una vicenda che cattura e che l’autore narra con bravura magistrale.

L’abilità di George Martin è inconfutabile. Non c’è nulla fuori posto e si ha la netta sensazione che nulla sia stato scritto a caso; è una sensazione piacevole. La meticolosità dell’autore nello sciorinare particolari su particolari è degna di lode, anche se talvolta sfocia in qualcosa di molto simile alla pedanteria (ad esempio, chi non amasse l’araldica, come me, troverebbe certi passaggi di una noia mortale). Ma non è pedanteria, è trasposizione pedissequa di un mondo che Martin rende vivido e intenso, di un mondo che è dichiaratamente ispirato alla Guerra dei Cento Anni e alla Guerra delle Due Rose (i nomi di alcune delle casate della vicenda sono gli stessi che la realtà ha consegnato alla storia).

Ma questa saga è qualcosa di più, finora (e speriamo non deluda le aspettative in futuro): è una sterzata decisa rispetto a quello che è stato il fantasy più di successo degli ultimi anni. È brutale e per nulla scontata nell’esito; nessun personaggio dorme sonni tranquilli, tutti rischiano la vita e sono costretti a sfidare la sorte e la morte.

Era ora di finirla con le fiabe per adulti, dal lieto fine annunciato tra le righe della pagina uno. A Song of Ice and Fire restituisce lo spessore del realismo alla narrativa fantasy, sospensione dell’incredulità o meno.

Ma, c’è un ma - ed è il motivo per cui a me A Game of Thrones è piaciuto meno dei suoi seguiti (che recensirò prossimamente) -: non bastano gli Estranei a renderlo un fantasy. La magia è orfana del suo potere. Molti dicono il bello di questa saga stia nella poca magia presente. Non la penso allo stesso modo: laddove la magia compare, in un mondo così splendidamente delineato, così dettagliatamente medievale, è uno schiaffo che esalta anche i capitoli in cui è l’acciaio a cantare la ballata di ghiaccio e fuoco. Anche perché la magia di Martin non è una magia banale; è anch’essa violenta ed è, in fondo, la “ciliegina originalità” su una buonissima torta di fantasy pseudo-storica.

Mi concedo un’ultima nota (per quella che sta diventando una battaglia personale): oltre 800 pagine intense, piene, in cui soltanto qualche descrizione mi è parsa eccessiva e soltanto per una questione di gusti. Alla faccia del troppo fantastico annacquato che c’è in circolazione.

Se volete tentare, cosa che vi consiglio, leggete almeno i primi due volumi: il solo Trono di spade non vi dirà molto.

Nota bene: l'edizione in mio possesso è quella con la copertina rigida uscita nel 1999. Attualmente nelle librerie si trovano le edizioni economiche (mi dicono che i cartonati dei primi due romanzi sono introvabili); gli ISBN riportati in questa recensione sono quelli del'edizione cartonata.

Il prezzo è la somma dei due prezzi.