Nel vasto dominio di Sette Città, nel Deserto Santo di Raraku, la veggente Sha’ik e i suoi seguaci si preparano ad affrontare l’insurrezione da lungo tempo predetta con il nome di Vortice di Vento. Il popolo la conosce e l’attende come l’Apocalisse... Questa tempesta, che non conosce precedenti in quanto a proporzioni e furore, trascinerà l’Impero Malazan nel conflitto più sanguinoso che abbia mai conosciuto, forgiando il destino di molti e dando origine a imperiture leggende...

Sullo sfondo di una terra buia e desolata, sconvolta dalla guerra e da inesplicabili magie, un appassionante romanzo di guerra, intrighi e tradimenti.

Attendevo con grande impazienza il secondo volume della saga di Steven Erikson. Di primo acchito, ci si accorge di qualche sorpresa e di qualche triste conferma. Partiamo, come dicono gli uomini marketing, dal packaging. L’edizione che l’Armenia ha voluto per Erikson è pregevole, con sovraccoperta e copertina con la stessa veste. Un libro piacevole e corposo da tenere in mano. Peccato che non sia stato risolto il problema della grafica: Lucia Croce dà vita a una copertina che, se possibile, è ancora più brutta di quella de I Giardini della Luna. Pazienza. Di buono c’è il deciso miglioramento delle cartine all’interno del libro, molto più chiare e grandi di quelle del primo volume.

La saga continua a chiamarsi La Caduta di Malazan, quando il titolo originale è The Malazan Book of the Fallen (Libro malazan dei caduti). Probabilmente, però, non è più stato possibile correggere il tiro.

Un’ottima scelta Armenia è stata quella di affiancare due traduttrici, Chiara Arnone e Lucia Panelli. Il risultato è senza dubbio migliore rispetto a I Giardini della Luna, la prosa è più piacevole e scorrevole.

Veniamo ora al romanzo in se stesso, 782 pagine che necessitano molte riflessioni. Il giudizio complessivo è positivo, un romanzo sicuramente da leggere. Tuttavia, alcuni dei dubbi che il primo volume aveva suscitato in me si sono ampliati e se ne sono aggiunti di nuovi. D’altro canto, alcuni degli spigoli del primo volume sono stati smussati e alcune risposte sono state fornite.

Da dove iniziare? La trama. L’autore ha strutturato il volume in tre distinti fili narrativi, che con il passare delle pagine diverranno cinque: Duiker, Coltaine, i Wickan e il Settimo; Felisin, Heboric e Baudin; Kalam; Fiddler, Apsalar e Crokus; Mappo e Icarium. Molti personaggi saltano da un gruppo all’altro, come nel caso del mago del Quadro del Settimo Esercito, Kulp, che comincia la propria avventura con lo storico Duiker e il pugno Coltaine, per poi essere catapultato - non vi spiegherò come - nelle vicende che coinvolgono Felisin, Heboric e Baudin.

Se molti di questi nomi non vi dicono assolutamente nulla, non preoccupatevi, non è la vostra memoria. Steven Erikson ci sommerge di volti nuovi, nomi ed eventi, ma per fortuna siamo preparati e il senso di scoramento è decisamente minore rispetto a quello generato dalle prime pagine de I Giardini della Luna.

Proviamo a mettere un po’ di ordine in un libro che ordinato non è e non desidera esserlo.

L’intera vicenda si svolge in un nuovo continente, quello di Sette Città, dove si era formato il mito degli Arsori di Ponti e dove molti misteri sono ancora celati negli antichi deserti. I giocatori di una complicata partita a scacchi hanno portato la rivoluzione nella terra di Sette Città. Contro la marea incalzante della violenza e della vendetta sanguinaria vi è solo un nuovo Pungo, Coltaine, proveniente da terre lontane, e le truppe Malazan, tra cui i fedeli Wickan.

Kalam, Fiddler e il suo gruppo devono passare in mezzo alla rivolta, per giungere alla meta del loro lungo viaggio, che dovrebbe portarli di fronte al loro nemico, l’imperatrice Laseen. Poteri e creature antiche convergono su Raraku, il deserto santo, alla ricerca di risposte, come nel caso di Icarium e Mappo, o di un potere ancora maggiore, come quello che cercano Soletaken e Diver’s.

Tre sono gli aspetti che Erikson approfondisce ne La dimora fantasma: la guerra, l’animo umano e il piano magico.

La guerra, nella fattispecie la “Catena dei Cani” di Coltaine, è a parer mio il vero punto di forza del libro. Erikson per la prima volta si cimenta compiutamente con gli aspetti della guerra e ne emerge quale fine e competente narratore. Tattica, strategia, dolore, crudeltà, coraggio, sofferenza, speranza e disperazione sono mescolate magistralmente nel ricreare una campagna militare decisamente avvincente. Gli eventi sembrano susseguirsi con ripetitività, cadenzando però il ritmo infernale della prova alla quale sono sottoposti gli uomini del Settimo. Due sole note stonano in questo affascinante affresco e sono facilmente distinguibili verso la fine del libro. Vi do solo un indizio, per chi non noterà immediatamente la cosa: gli interventi “deus ex machina”, per quanto originali ed evocativi, appannano la tragicità e la veridicità della guerra di Coltaine, sminuendone il coraggio.

Personaggio fondamentale di questa ordalia è Duiker, lo storico imperiale. Osservatore distaccato, ritroverà nel deserto di Sette Città le proprie origini, giungendo ad appartenere intrinsecamente a ciò che sta registrando. Attraverso gli occhi e le esperienze di Duiker, Erikson descrive un’infinita moltitudine di personaggi riservati e forti, mettendoli a nudo con la stessa bravura di David Gemmell. Coltaine, Bult, Sormo, Lull, List, Nill, Nether, sono maghi e soldati che divengono leggenda nel corso del loro viaggio.

Erikson estrae anche questa volta dal cilindro, forse grazie al retroterra antropologico, ventate di novità che tanto fanno bene alla fantasy. Il lettore accorto si troverà a compiere uno sforzo naturale nel tentativo di trovare riscontri reali nella fantasia dello scrittore.

Gli stregoni bambini Wickan, il dio Semk, i genieri Malazan e le loro trovate, sono forme affascinanti di miti forse esistenti? Cosa si può vedere nell’esercito Malazan? Forse le legioni di Scipione l’Africano e Druso? Le tribù Wickan sono più simili alle orde di Kublai Khan o rappresentano le tribù delle praterie americane nel più classico dei “what if” - se si fossero unite...?

Tante domande che si perdono nella complessità della trama, che mescola realtà e finzione, canali e ascendenti.

È difficile riuscire a descrivere compiutamente un libro con così tanti spunti. Sembra che Erikson abbia condensato molti libri in uno stesso volume. Le prove e i cambiamenti che subirà la giovane Felisin a Skullcup incollano il lettore alle prime pagine del libro, quando il completo cambio di scenario e di personaggi rischierebbe di scoraggiare anche il più volonteroso fan. L’amicizia tra Icarium e Mappo, che fa da sfondo alla ricerca disperata del primo e ai segreti del secondo, spingono a divorare pagine e pagine in cerca di risposte che si teme non possano giungere all’interno dello stesso volume... e per fortuna non è così, molti dei misteri emersi ne I Giardini della Luna trovano soluzione in questo libro, sebbene l’autore crei nuove deviazioni e bivi.

Proprio da questa ultima riflessione partiamo alla ricerca di quali possano essere i limiti de La Dimora Fantasma.

La trama globale - e si potrebbe anche discutere circa l’esistenza o meno di tale trama - non si evolve in maniera sensibile. Dopo infinite pagine, abbiamo finalmente messo insieme i pezzi del puzzle iniziale, quello imperiale, ma la saga sembra ben lungi dallo svelare la propria vera natura. Il senso generale è quello di “dispersione”. Tale dispersione relega in secondo piano tanti aspetti importanti. L’amore continua a essere un punto debole della narrazione di Erikson, che non sembra saperne descrivere la natura; o forse non è interessato a farlo. I rapporti sentimentali tra i personaggi, anche quando sono la molla alla base di importanti avvenimenti e scelte - come per esempio nel caso di Felisin o nel caso di Kalam -, sono appena accennati e mai veramente esplorati. L’amore viene dato semplicemente per scontato ed è un peccato, visto che per quanto riguarda valori come l’amicizia, il rapporto tra Mappo e Icarium insegna ed Erikson si dimostra un fine dicitore.

Altro dubbio emerso è la reale necessità di alcuni dei molti personaggi di Erikson. Lo scrittore di origine canadese sembra molto spesso inserire delle pedine coreografiche, delle quali si disaffeziona dopo alcune pagine. Tali pedine non portano nulla di realmente fondamentale alla trama, almeno per ora, tranne grande confusione in chi legge. Un po’, spiazza anche la rapidità con la quale Erikson sembra risolvere nodi fondamentali della trama narrativa: eventi preparati per centinaia di pagine, che poi si risolvono “come per magia”, con escamotage...

Il dubbio/speranza è che una vera valutazione di The Malazan Book of the Fallen potrà essere dato solo a posteriori, una volta conclusa la saga. Quanti dei bivi creati da Erikson si riveleranno dei vicoli chiusi? Quanti veramente porteranno a delle conclusioni? Per ora, queste potrebbero sembrare questioni speciose, ma vista la mole dell’opera e la quantità enorme di carne al fuoco, forse in futuro andranno affrontate.

Erikson, oltre ad aver ignorato molti protagonisti del primo volume, abbandona in parte anche un aspetto che aveva fatto molto amare I Giardini della Luna: la dimensione epica. La Dimora Fantasma è un libro molto più “umano”, dove sembrano ridimensionarsi gli scontri divini. Personalmente ho sentito solo parzialmente la mancanza degli scontri epici. La descrizione più accurata delle vicende militari ha compensato i miei bisogni di lettore, ma a molti questa “mancanza” potrebbe pesare più che al sottoscritto.

Alla fine, di questa valanga di parole cos’altro si può dire? Il romanzo va decisamente acquistato e letto. Fatelo, perché sicuramente è un volume che farà discutere e i cui pareri varieranno in maniera considerevole da persona a persona. Come scrissi alla fine della recensione del primo volume, c’è sicuramente molto che può essere migliorato - e in parte è stato fatto, scoprendo però nuove falle, inesistenti nel primo libro.

Che il rischio sia una coperta troppo corta?

Il giudizio rimane ottimo, sebbene meno convinto che per il primo volume.