Re Sagace è morto per volere del figlio Regal. Anche Fitz è morto, o almeno così credono i suoi amici e nemici. Ma con l’aiuto dei suoi alleati e dello Spirito riemerge dalla tomba, segnato da profonde cicatrici che gli solcano  il corpo e l’animo. Il regno è vicino alla rovina: Regal ha saccheggiato la capitale per poi abbandonarla, mentre il legittimo erede, il principe Veritas, è perso nella sua folle ricerca, forse destinato a morire. Solo il ritorno di Veritas, o la successione che spetta di diritto a sua moglie, potrà salvare i Sei Ducati. Ma Fitz non resterà a guardare. Guidato da ricordi confusi e dolorosi, si incarica di una missione: uccidere Regal. Il viaggio lo conduce per acque profonde, su cui scorrono i potenti flussi di magia dei quali scopre di essere dotato; le correnti potranno portarlo negli abissi o renderlo ancor più potente che in passato…

Con Il Viaggio dell’Assasino si conclude la Trilogia dei Lungavista (The Farseer Trilogy). Voglio subito rassicurare chi ha appena finito il libro: Margaret Lindholm, che conosciamo con lo pseudonimo di Robin Hobb, non ha smesso di produrre libri. Sono ancora almeno due le trilogie ambientate nel mondo creato dalla scrittrice americana che la Fanucci, o chi per lei, potrà portare in Italia[1]. Credo che la notizia farà piacere a molti. Assassin’s Quest è la degna conclusione di una saga molto bella, a tratti perfino poetica.

Avevamo definito il primo libro della Hobb un “romanzo di formazione”, ovvero la storia dell’addestramento e della crescita sentimentale e psicologica del protagonista. Dopo tante pagine possiamo affermare che l’intera trilogia tratta del viaggio e dell’evoluzione del protagonista. La scelta della Hobb di narrare in prima persona le vicende di Fitz è sintomatica di questa linea di pensiero. Come già nel primo libro era intuibile, ci troviamo di fronte all’autobiografia narrata da Fitz stesso.

Le prove alle quali il giovane assassino è stato sottoposto lo hanno costretto a crescere rapidamente. In Assassin’s Quest Fitz deve portare a termine la propria maturazione, per trovare il proprio posto nel mondo e capire cosa lui stesso desideri, una volta libero dai legami del dovere e del bisogno.

Che cos’è una “quest”? Letteralmente è una ricerca. Mi trovo però pienamente d’accordo con la scelta della traduttrice di interpretare “quest” come “viaggio”. Viaggio verso dove? Le tappe sono innumerevoli, alcune geografiche e altre metafisiche: uccidere Regal, trovare Veritas, salvare i sei Ducati dalle Navi Rosse e dall’autodistruzione, comprendere fino in fondo il proprio legame con “occhi di notte”, cercare l’amore, riconsiderare i propri doveri e i propri obblighi nei confronti del regno e di se stessi, eccetera, eccetera... La destinazione finale diviene però chiara solo dopo l’appagante conclusione del libro: il viaggio di Fitz è un viaggio alla ricerca di se stesso.

Margaret Lindholm si conferma una scrittrice molto sensibile, dotata di una prosa chiara ed efficace, a tratti perfino elegante. La precisione e le scelte lessicali con le quali rende vivo e credibile il “legame” tra il protagonista e il suo lupo è una delle caratteristiche migliori del romanzo. I mutamenti che occorrono all’uomo e all’animale sono delicati, ma visibili. Nessuno sconvolgimento, ma solo lenta e inesorabile evoluzione di una nuova sensibilità.

I rapporti umani sono quasi sempre descritti efficacemente. Nelle pagine del Viaggio dell’Assassino sentimenti profondi e complessi, spesso difficili da affrontare, sono resi mirabilmente e, ancor più importante, chiaramente. Il libro è intriso anche di una sottile e piacevole ironia, che emerge soprattutto da Occhi di Notte e dal suo peculiare modo di intendere la vita. Osservare il mondo e i suoi rapporti attraverso la lente del lupo è una delle intuizioni migliori di Robin Hobb.

Riesaminando a posteriori tutti i libri ci si accorge dell’evoluzione dei personaggi nel corso delle pagine. Piccoli cambiamenti e differenze, impercettibili se esaminate nel breve periodo, divengono esaustive nel corso dell’ultimo volume, quando “tutti i nodi vengono al pettine”. Nel terzo volume della trilogia trovano infatti risposta tutti i quesiti che Robin Hobb aveva abilmente introdotto nei primi volumi. L’autrice sembra quasi piacevolmente irriconoscibile, quando con minuziosa precisione ci svela chi in realtà sia il Matto, o cosa sia lo “Spirito”, o quale sia la vera natura degli Antichi della ricerca di Veritas.

Forse è vero, l’ambientazione creata dalla scrittrice non ha nulla di peculiare, né di innovativo. Il mondo dei Sei Ducati, del Regno delle Montagne e dei territori antichi dove avrà luogo l’epilogo della saga può apparire solo abbozzato. Può darsi che il paesaggio sia solo una pallida cornice sulla quale risaltino i colori vivi dell’animo umano. Ricordate che però sono la profondità e l’umanità che permeano i personaggi della trilogia dei Lungavista a inchiodare il lettore fino all’ultima pagina.

Il Viaggio dell’Assassino è quindi il giusto e intrigante volume finale di una delle trilogie meglio scritte degli ultimi anni. Chi ha già letto e amato i due volumi precedenti, sarà entusiasta di Assassin’s Quest, e ne apprezzerà la fine evocativa e per nulla scontata. Il romanzo però non può purtroppo essere letto come libro a se stante, soprattutto perché se ne perderebbero alcune delle prerogative più importanti.

Robin Hobb è riuscita a scrivere una fiaba per adulti, dolce, poetica, toccante e sensibile, ma allo stesso tempo cruda e malinconica, quando serve e deve. Assassin’s Quest è il libro migliore di un'ottima trilogia.