Non aspettatevi un altro A Storm of Swords se non volete essere delusi. A Dance with Dragons non è né più né meno che un volume centrale di una saga, con i relativi pregi e difetti. Certo, visto che il suo autore è George R.R. Martin, la sua qualità è comunque straordinaria.

Secondo molti lettori il romanzo precedente, A Feast for Crows, era stato una mezza delusione. Si pagava, in quel caso, l’assenza di personaggi importantissimi quali Jon Snow, Tyrion e Daenerys, protagonisti assoluti invece in Dance. E il ritmo veniva percepito come terribilmente lento, con una storia incapace di dipanarsi oltre a una manciata di intrighi di corte e ad alcune ricerche individuali, probabilmente poco significative per il destino dei Sette Regni.

I tre punti di vista assenti nello scorso romanzo qui tornano con forza, anche se qualcun altro, come Sansa Stark, continua a rimanere nelle retrovie. Nonostante questo il nuovo volume non riesce a dissipare quella sensazione d’incompiutezza che già avevamo provato in precedenza.

Il motivo è semplice: la storia si trova in una fase preparatoria. Sappiamo tutti che Martin, a un certo punto del suo lavoro, aveva progettato di scrivere due trilogie collegate fra loro e separate da un intervallo di cinque anni. Lo scrittore ha accantonato questo progetto dopo oltre un anno di scrittura perché aveva bisogno di spiegare troppe cose fra la prima e la seconda parte della sua saga per poterle comprimere in un semplice prologo e in una manciata di flashback. Quello che non è cambiato è il fatto che le vicende abbiano uno snodo centrale in cui la situazione sembra assestarsi per poi ripartire con nuovi problemi, o con gli stessi problemi ingigantitesi con il trascorrere del tempo, e che ora stia ripartendo un nuovo corso di eventi.

A Storm of Swords, tradotto in italiano come Tempesta di spade, I fiumi della guerra e Il portale delle tenebre, portava a compimento tutti gli eventi dei precedenti A Game of Thrones (Il trono di spade e Il grande inverno) e A Clash of Kings (Il regno dei lupi e La regina dei draghi). Fra intrighi, tradimenti e combattimenti il terzo romanzo delle Cronache del ghiaccio e del fuoco trovava una soluzione per la Guerra dei cinque re, donava un nuovo assetto ai Guardiani della Notte, eliminava alcuni protagonisti e ne piazzava altri in luoghi dai quali non intendevano spostarsi tanto presto, creando allo stesso tempo un finale grandioso e capace di suscitare nei lettori una fortissima impressione.

Con A Feast for Crows (Il dominio della regina e L’ombra della profezia) si ripartiva da capo. Eliminati alcuni dei pretendenti la guerra era entrata forzatamente in una fase di stallo, e per i vari personaggi il problema principale era ritrovare un nuovo equilibrio, e far tornare le cose alla normalità. Si tratta di avvenimenti necessari ma non certo epici, e l’epicità è qualcosa che è mancato al quarto romanzo. A questo si è sommato il problema dei personaggi assenti, sostituiti da altri punti di vista come quelli situati a Dorne, terra fino a quel momento relegata al margine della storia e perciò al momento meno coinvolgente da un punto di vista emotivo, o da altri considerati troppo poco significativi, come nel caso di Brienne.

Per certi versi A Dance with Dragons è un romanzo molto vicino ad A Feast for Crows, e non solo perché è il successivo. Per gran parte delle pagine le vicende si svolgono in parallelo, anzi, in un caso si torna addirittura indietro nel tempo. Noi abbiamo già visto l’incontro fra Jon e Sam conclusosi con la partenza di quest’ultimo in Il dominio della regina. Là la vicenda era narrata dal punto di vista di Sam. Qui quello stesso colloquio viene rivisto attraverso gli occhi e la mente di Jon, ed è notevole osservare le differenze di percezione. Le due immagini della stessa scena mostrano chiaramente l’abilità di Martin nell’interpretare pensieri e sentimenti del suo variegato cast, riuscendo sempre a cogliere lo spirito di ciascuna figura e rendendola viva, coerente e diversa da quella di tutti gli altri. E se ritrovarsi indietro nel tempo per un capitolo e mezzo è una sensazione un po’ fastidiosa, proprio quel capitolo di Jon si conclude con un’immagine che ci riporta a una scena già vissuta nel Trono di spade, e in questo caso la sensazione nostalgica è pervasa da sentimenti di pura esultanza.

Sono molti in questo romanzo i momenti che riportano indietro al passato. A parte quella scena ci sono visioni e ricordi, spesso presentati in modo tale da farci riconsiderare le scene che abbiamo già vissuto. Così una frase rivolta da Ser Jorah Mormont a Daenerys ha tutto un altro sapore quando a parlare è Ser Barristan il Valoroso, e il giuramento dei Guardiani della notte fa vibrare corde profonde. Tantissimi accenni riportano ai primi romanzi, e anche più indietro. Scopriamo nuovi particolari sulla guerra fra Robert Baratheon e Aerys il Folle, e troviamo altri indizi a sostegno dell’ipotesi più nota sulla mamma di Jon Snow, ipotesi che ormai sembra sempre più una certezza. Anche se, alla luce di quanto avviene in questo romanzo, viene da chiedersi quanto sia importante conoscere la verità.

Proprio la presenza di questo mistero, divenuto uno dei temi portanti della saga, fa propendere per la soluzione più felice di uno dei momenti più forti dell’intero volume, ma è indubbio che, per come Martin ha lasciato una determinata trama, i fan avranno di che discutere fino alla pubblicazione di The Winds of Winter.

Uno dei temi portanti del volume invece è quello dell’identità personale. L’aspetto più evidente è in Reek, che deve sempre ricordare il suo nome, come lo deve ricordare una fanciulla di sua conoscenza, ma c’è anche un’altra fanciulla che afferma di non essere nessuno la cui identità è invece molto importante, e ci sono diversi personaggi che non devono scordare chi sono. Bran, Jon, Tyrion, Daenerys, persino Cersei, tutti loro devono rivedere le loro convinzioni su loro stessi e capire cosa salvare della loro identità per poter andare avanti nel difficile cammino che li attende. Ci sono dubbi sull’identità di Manifredde, e ci sono personaggi che per un tempo più o meno lungo mascherano la loro identità. E se uno di loro ci fa pensare a una scena già vissuta nel Trono di spade, quando ancora non sapevamo cosa ci aspettava e tutti erano più felici, un altro ci fa pensare che dopotutto Ditocorto non è l’uomo più intrigante dei Sette Regni.

Con questo romanzo inizia una nuova trama che affonda le sue radici in un lontano passato. Martin è maestro negli inganni, ci ha imbrogliati parecchie volte in passato e continua a farlo anche ora. Il Trono di spade inizia con almeno tre bugie di portata enorme. La prima riguarda l’assassino di Jon Arryn, e la verità l’abbiamo scoperta solo nel Portale delle tenebre. La seconda riguarda Jon Snow, e sappiamo tutti che cosa ci sia sotto anche se lo scrittore per ora fa finta di niente. La terza è questa, ed è qualcosa che sorprenderà chiunque. Che importanza avrà? È troppo presto per dirlo, bisognerà vedere come lo scrittore farà agire questo nuovo personaggio. Quel che è certo è che cambiano parecchie cose. Dopo questo, i Sette Regni non potranno più essere gli stessi.

A Dance with Dragons porta avanti molte trame. I punti di vista sono parecchi, spesso celati sotto un titolo misterioso in modo che non possano essere identificati a prima vista. La storia è ambientata a Nord, alla Barriera e oltre, ma anche nelle terre poste sotto il dominio di Grande Inverno, e al di là del Mare Stretto, dove si trova Daenerys e dove si trovano diversi altri personaggi, molti dei quali sono disperatamente impegnati nel tentativo di raggiungerla. Ma, come già ci ha insegnato Arya Stark in A Clash of Kings, i viaggi non sono una cosa tanto semplice, e l’imprevisto è sempre in agguato. È qualcosa che Tyrion scoprirà a sue spese, dopo che il suo ruolo è drasticamente mutato. Da membro di una delle famiglie più ricche e potenti del Regno, per un certo periodo di tempo addirittura Primo Cavaliere del Re, a fuggiasco apparentemente inerme di fronte a pericoli più grandi di lui il cambiamento è davvero grande, e molti lettori potrebbero faticare a riconoscerlo. Al di là del suo tormentone sulle puttane e dei suoi rimorsi di coscienza, però, il nano è sempre lui, come dimostra la sua risposta sul numero di uomini da lui ammazzati o la sua capacità di mettere assieme un quadro della situazione straordinariamente preciso pur avendo davvero pochi indizi. E con uno dei suoi compagni di viaggio lo scrittore mostrerà una notevole ironia, se ci soffermiamo a pensare su chi sia davvero il nobile cavaliere e sul perché sia finito in quella parte del Mondo.

Ironia presente anche in Davos Seaworth, Mano del Re (termine originario definire chi ricopre un ruolo tradotto come Primo Cavaliere del Re) dalle dita troppo corte. La trama di Davos, fra l’altro, ricorda ai lettori di non fermarsi alla prima impressione e alle sole parole che vengono pronunciate, ma di aspettare per avere un quadro preciso della situazione. In più, il Cavaliere delle cipolle sfiora una delle trame perdute tanto tempo fa che finalmente potrebbe tornare a svolgere un ruolo importante per gli eventi futuri.

Al loro fianco si muovono molti personaggi nuovi. Il respiro si è allargato, Dorne è entrato a far parte della trama e non se ne andrà più. Altri punti di vista sono ancora più lontani. Alcuni sono personaggi vecchi promossi di ruolo, in modo da consentirci di sapere ciò che accade in luoghi sui quali altrimenti non avremmo potuto gettare il nostro sguardo. Altri sono del tutto nuovi, e ci vorrà del tempo per affezionarci a loro e per capire la portata delle loro azioni.

Per oltre metà volume A Dance with Dragons si situa nello stesso arco di tempo di A Feast for Crows. Poi arrivano un capitolo su Dorne, uno su Arya, quindi Jaime e via via la storia va avanti con quasi tutti i personaggi verso una conclusione che non c’è. Questo romanzo infatti porta avanti molte trame ma non ne chiude nessuna. La visione ormai è così ampia che la storia procede lentamente. Si semina molto, e si raccoglie poco.

Se A Game of Thrones ci aveva introdotti un nuovo mondo, abbagliandoci con la bellezza dei luoghi e la complessità degli intrighi, e spaventandoci con il rischio della morte, e se A Storm of Swords ci aveva fatto passare dai momenti più cupi a quelli più esaltanti, A Dance with Dragons non è paragonabile a queste due opere. Ci sono alcuni personaggi da scoprire, e alcuni intrighi sorprendenti, ma ormai il lettore è abituato a una notevole quantità di intrighi ed è più curioso di conoscere il destino dei personaggi che già ama che di fare la conoscenza con nuove figure. Però, se pensiamo al puro piacere della lettura, allora ci rendiamo conto che è altissimo.

I personaggi sono caratterizzati in modo straordinario, e le pagine scorrono via con una rapidità impressionante. Malgrado il gran numero di trame non si fa alcuna fatica a seguire la storia, e spesso le vicende si incastrano fa loro con la stessa facilità con la quale si incastrano le tessere di un puzzle. Solo che qui gli eventi sono spesso lontani fra loro, e la capacità di Martin di tenere unito il tutto ha dell’incredibile. Anche i capitoli che si iniziano svogliatamente perché il personaggio sembra meno interessante di altri rivelano al loro interno almeno un elemento fondamentale che giustifica la loro esistenza e che porta avanti la trama, che rivela qualcosa di fondamentale, o che comunque scuote il lettore. L’unico pensiero, a libro ultimato, è un “di già?” che sa tanto di rimpianto, perché le vicende sono prive di una conclusione e probabilmente rimarranno ferme a questo punto ancora per parecchio tempo. La danza dei draghi è (già) terminata, e l’inverno è arrivato.

NdR: questo libro è stato recensito prima della sua traduzione italiana avvenuta in tre parti intitolate I guerrieri del ghiaccio, I fuochi di Valyria, La danza dei draghi.