Per essere un terzo capitolo, considerata la classica curva discendente di quasi tutte le serie cinematografiche, si resta stupiti dalla bontà di un film che si priva del registra di talento Bryan Singer per far posto a un Brett Ratner capace di interpretare alla perfezione il suo compito. Questo non significa automaticamente inneggiare al capolavoro, tutt’altro: il “compito” di cui parliamo non è così meritevole, complice soprattutto una sceneggiatura insufficiente. Il compito è quello di intrattenere, strabiliare con una miriade di effetti speciali, elevare all’ennesima potenza il “sense of wonder”, per mascherare una trama che non ha molto da aggiungere a ciò che avevamo già visto nei due lungometraggi precedenti.

Ci sono ancora i mutanti buoni, capitanati dal professor Xavier (Patrick Stewart), nella cui scuola, accanto ai veterani Tempesta (Halle Berry), Wolverine (Hugh Jackman) e Ciclope, che presto abbandonerà la scena, si fanno notare i giovani Colosso, Kitty Pride e l'Uomo ghiaccio; e ci sono i mutanti cattivi, al seguito di un Magneto (Ian McKellen) quanto mai agguerrito, accompagnato dalla solita Mistica (Rebecca Romijn Stamos), anch'ella destinata ad abbandonare presto le scene, da Pyro e da molte novità, come il Fenomeno o l'Uomo multiplo. Ma facciamo la conoscenza anche della Bestia, di Angelo e di molti altri personaggi. Al centro di tutto, la Fenice, una Jean Grey affatto morta, bensì tornata più potente di prima e decisamente meno votata al bene. Una miriade di personaggi nella loro perenne lotta per la difesa o la distruzione di un genere umano che sembra aver trovato "la cura" per annientare il gene mutante.

I temi del razzismo, dell’emarginazione e del pericolo rappresentato dalla razza mutante ormai non bastano più ad ammantare di originalità il filone supereroistico, e la novità introdotta in questo terzo episodio (la presunzione di malattia) non è, in fondo, centrale alla trama, se non per gli ottimi spunti di riflessione che lo spettatore può fare grazie al personaggio di Rogue. Del resto, come potremmo ritenere sufficiente uno script costruito al servizio degli effetti speciali, quando in ogni film che si rispetti dovrebbe avverarsi il contrario?

Jean Grey, alias Fenice
Jean Grey, alias Fenice
Troppe scene, troppe azioni, sono dettate solo dall’esigenza di mostrare qualcosa sullo schermo in grado di affascinare dal punto di vista visivo. Lo stesso personaggio di Fenice, il lato oscuro e pericoloso della rediviva Jean Grey, sembra muoversi esclusivamente per giustificare scene sensazionali, quando più realisticamente dovrebbe comportarsi in tutt’altro modo.

A questo si aggiungono interpretazioni mai degne di nota, a partire da un McKellen così lontano dallo stato di grazia visto nel Codice Da Vinci. Niente da rimproverare all’attore, è di nuovo la sceneggiatura che non pretende niente dai singoli personaggi, preferendo inserirne in grande quantità e farli sfilare di fronte al pubblico con tutti i loro strepitosi poteri mutanti.

Paradossalmente, tuttavia, è proprio questo il punto di forza del film: se è costruito per stupire, ci riesce in modo impeccabile. È sufficiente una delle prime scene, che si svolge nella stanza dei pericoli, tanto famosa nel fumetto quanto finora ignorata nei film, per rendere l’idea di quanto ci si possa divertire. Un’ora e tre quarti frenetici (soprattutto nella seconda parte), dove si vedono volare le case e i ponti, dove la distruzione sembra imperare nei modi più fantasiosi e inaspettati, dove i più strani fenomeni da baraccone fanno bella mostra di sé per la gioia di grandi e piccini. Il circo dei mutanti, insomma, ma di assoluta qualità, tanto da non far assolutamente rimpiangere i soldi e il tempo spesi per ammirarli, né temere l'inevitabile ennesimo seguito.