Prologo: Dubitare

Sei anni fa

Jasnah Kholin fingeva di divertirsi alla festa, senza lasciar trasparire che aveva intenzione di far uccidere uno degli ospiti.

Si aggirava per la sala dei banchetti affollata, in ascolto, mentre il vino scioglieva le lingue e offuscava le menti. Suo zio Dalinar se la stava godendo alla grande e si alzò dal tavolo alto per urlare ai Parshendi di far entrare i loro tamburi. 11 fratello di Jasnah, Elhokar, si precipitò a zittire lo zio, anche se gli Alethi ignorarono educatamente lo slancio di Dalinar. Tutti tranne la moglie di Elhokar, Aesudan, che ridacchiò freddamente dietro un fazzoletto.

Jasnah voltò le spalle al tavolo alto e continuò per la sala. Aveva un appuntamento con un assassino ed era fin troppo lieta di lasciare quella stanza soffocante, che puzzava del miscuglio di troppi profumi. Un quartetto di donne suonava flauti su una piattaforma rialzata di fronte al camino acceso, ma ormai la musica era diventata noiosa.

A differenza di Dalinar, Jasnah attirava gli sguardi. Erano come mosche su carne marcia e la seguivano di continuo. Sussurri come ronzii d'ali. Se c'era una cosa che alla corte alethi piaceva più del vino erano i pettegolezzi. Tutti si aspettavano che Dalinar si ubriacasse durante un banchetto... ma che la figlia del re ammettesse l'eresia? Quello sì che non aveva precedenti.

Jasnah aveva espresso le sue sensazioni proprio per quel motivo.

Superò la delegazione dei Parshendi, raggruppati vicino al tavolo alto a parlare nella loro lingua ritmica. Anche se questa celebrazione era in onore loro e del trattato che avevano firmato con il padre di Jasnah, non sembravano festosi e nemmeno felici. Parevano nervosi. Naturalmente non erano umani e il modo in cui reagivano a volte era singolare.

Jasnah voleva parlare con loro, ma il suo appuntamento non poteva aspettare. L'aveva fissato di proposito a metà del banchetto, poiché molti sarebbero stati distratti e ubriachi. Jasnah si diresse verso le porte ma poi si fermò di colpo.

La sua ombra puntava nella direzione sbagliata.

Quella stanza afosa, così piena di movimento e chiacchiere, sembrò diventare distante. L'altoprincipe Sadeas camminò proprio attraverso l'ombra, che puntava decisamente verso la lampada a sfera sulla parete vicina. Impegnato in una conversazione con la sua compagna, Sadeas non se ne accorse. Jasnah fissò l'ombra; la sua pelle divenne appiccicaticcia e le si serrò lo stomaco, ciò che accadeva quando stava per vomitare. Non di nuovo. Cercò un'altra fonte di luce. Un motivo. Riusciva a trovare un motivo? No.

L'ombra si mosse lentamente verso di lei, addensandosi ai suoi piedi e poi estendendosi dall'altra parte. La sua tensione si placò. Ma qualcun altro l'aveva notato?

Per fortuna, quando esaminò la stanza, non trovò nessuno sguardo atterrito. L'attenzione della gente era stata attirata dai percussionisti parshendi, che entravano sferragliando per disporsi. Jasnah si accigliò quando vide un servitore non parshendi con flosci abiti bianchi che li aiutava. Uno Shin? Quello sì che era insolito.

Jasnah si ricompose. Cosa significavano questi suoi episodi? I racconti popolari superstiziosi che aveva letto asserivano che, se le ombre si comportavano in modo strano, voleva dire che eri maledetto. Di solito respingeva tali cose come sciocchezze, ma in effetti alcune superstizioni avevano qualche fondamento. Le altre sue esperienze lo dimostravano. Avrebbe avuto bisogno di indagare ulteriormente.

Quei pensieri calmi, da studiosa, sembravano una menzogna se paragonati alla verità della sua pelle fredda e appiccicaticcia e del sudore che le colava lungo il collo. Ma era importante essere razionali in ogni momento, non solo in situazioni di calma. Si impose di varcare le porte, lasciando la stanza afosa in favore del corridoio silenzioso. Aveva scelto l'uscita posteriore, solitamente usata dai servitori. Dopotutto era la strada più diretta.

Lì dei maestri-servitori vestiti di bianco e nero si aggiravano per commissioni affidate dai loro luminobili. Se l'era aspettato, ma non aveva previsto di vedere suo padre proprio li davanti, a conferire sommessamente con il luminobile Meridas Amaram. Cosa ci faceva il re lì fuori?

Gavilar Kholin era più basso di Amaram, eppure quest'ultimo era incurvato un poco in compagnia del re. Era una cosa comune con Gavilar, che parlava con un'intensità tanto pacata da indurre

l'interlocutore a sporgersi ad ascoltare, per afferrare ogni parola e implicazione. Era un bell'uomo, a differenza di suo fratello, con una barba che gli delineava la mascella volitiva senza però coprirla. Aveva un magnetismo e un'energia personale che a giudizio di Jasnah nessun biografo era ancora riuscito a trasmettere.

Tearim, capitano della scorta del re, incombeva dietro di loro. Indossava la Stratopiastra di Gavilar; di recente il re aveva smesso di indossarla, preferendo affidarla a Tearim che era noto come uno dei migliori duellanti al mondo. Gavilar indossava invece delle vesti in uno stile classico e maestoso.