In Harry Potter e i Doni della Morte – Parte I li avevamo lasciati a Villa Conchiglia dopo una rocambolesca fuga dal Malfoy Manor. In Harry Potter e i Doni della Morte – Parte II lì li ritroviamo, intenti a progettare un’irruzione alla Gringott in compagnia di un folletto. Prosegue la disperata caccia agli Horcrux – oggetti in cui si celano i frammenti dell’anima di Lord Voldemort (Ralph Fiennes) – di Harry (Daniel Radcliffe), Ron (Rupert Grint) e Hermione (Emma Watson), giunti, non senza difficoltà, al termine del loro cammino. L’ultima battaglia è imminente, quella in cui – forse – “it all ends here”, finirà tutto.

Questa, in breve, la sinossi di Harry Potter e i Doni della Morte – Parte II, attesissima conclusione dell’eptalogia potteriana di J.K. Rowling portata sul grande schermo da David Yates. L’ambizione della pellicola di tirare le somme di ciò che è stato appare evidente sin dalle prime battute: la proiezione del film è preceduta da alcune immagini tratte da un provino di Radcliffe, di Grint e della Watson risalenti ai tempi della Pietra Filosofale, un contenuto extra già diffuso dalla Warner nelle settimane precedenti il debutto del film. Nel video compaiono tutti i passati registi della serie, da Chris Columbus ad Alfonso Cuaron e Mike Newell fino a David Yates, che ha preso il timone dall’Ordine della Fenice. La domanda fondamentale, a questo punto, è: “Harry Potter e i Doni della Morte sarà la degna conclusione di quest’avventura cinematografica durata dieci anni?”. 

Nella regia di un film, come in una performance canora, esistono alcuni punti chiave, dei “punti critici”: un cantante può prendere le note o prendere delle stecche ed è quello che fa la differenza. Nei Doni della Morte di questi “punti critici” ne esistono parecchi, e Yates non è riuscito ad arrivare a tutte le note. Idealmente la pellicola può essere divisa in due parti, una alla Gringott e una a Hogwarts. La prima è introdotta da un dialogo tra Harry e Unci-Unci (Warwick Davis, che ha ricoperto il doppio ruolo del folletto e del professor Vitious), un dialogo che nel romanzo della Rowling segna un punto di svolta: Harry smette di agire come un ragazzo e inizia a pensare da adulto, prendendo decisioni non facili ma giuste. Questa maturazione di Harry non si avverte nella pellicola: è lo stesso ragazzino di sempre, gli manca quel quid di carisma che, da qui in avanti, contraddistingue il suo alter ego letterario. In generale è tutta la prima parte a rivelarsi fiacca: né il ritrovamento della coppa di Tassorosso nella camera blindata di Bellatrix Lestrange, né le scene in 3D nella Gringott né il volo sul drago albino prigioniero nei sotterranei della banca riescono a dare linfa all’azione. Unica nota positiva Helena Bonham Carter nella sua interpretazione di Hermione/Bellatrix Lestrange (Pozione Polisucco): pur con lo stesso volto e un trucco di scena identico, l’attrice riesce a dare vita con invidiabile maestria a una versione “hermionesca” del suo personaggio, con un risultato molto lontano dalla “sua” Bellatrix, folle e sensuale.

Dopo un breve interludio in cui compare Aberforth Silente (Ciaràn Hinds), in cui purtroppo vengono omessi molti dettagli sulla storia della famiglia Dumbledore, la scena si sposta a Hogwarts. Harry, Ron e Hermione vengono accolti da un irriconoscibile Neville Paciock, interpretato dal bravo Matthew Lewis, che in questa pellicola è all’altezza del suo ruolo e sfoggia il carisma che manca a Radcliffe. Questa seconda tranche del film, seppur meno fiacca della prima, presenta qualche sbavatura nel montaggio, di Mark Day: momenti tragici vengono alternati a momenti spensierati senza coerenza apparente e in generale manca il pathos che dovrebbe accompagnare l’epica Hogwarts Battle. Bello il combattimento tra Severus Piton (Alan Rickman) e Minerva McGranitt (Maggie Smith), troppo breve quello tra Bellatrix Lestrange (che inspiegabilmente si sbriciola come se fosse un Horcrux) e Molly Weasley (Julie Walters). La distruzione della coppa di Tassorosso a opera di Hermione nella Camera dei Segreti è un’ottima occasione per i potteriani per “vivere” un momento che nel libro non era sfruttato a dovere, anche se l’atteso bacio tra Ron e Hermione sembra inserito come contentino per i fan, così come l’apocrifo interesse di Neville per Luna (Evanna Lynch). Resa malissimo la sequenza relativa a Fred, uno dei momenti più tristi dell’intera saga liquidato in pochi minuti e senza troppo spargimento di lacrime; i gemelli Weasley (Oliver e James Phelps) hanno a disposizione sì e no una battuta in tutto il film. Nella media la performance di Alan Rickman nel rendere sul grande schermo la sofferenza di Severus Piton, così come la spiegazione del rapporto esistente tra lui e Lily Potter e le ragioni del suo atteggiamento ostile nei confronti di Harry. Praticamente assente anche Rubeus Hagrid (Robbie Coltrane) e mal gestita la scena in cui Harry richiama a sé gli spettri di James e Lily Potter, Sirius Black (Gary Oldman) e Remus Lupin (David Thewlis), coloro che resteranno con lui “until the very end”; mal gestito anche lo scontro finale tra Harry e Voldemort: luci colorate per fare un po’ di scena e nulla più. Del Mantello dell'Invisibilità si sono perse le tracce qualche sequenza prima, e chi non conosce il romanzo della Rowling fatica a comprendere perché mai dovrebbe esserci un Horcrux a Hogwarts e dovrebbe avere qualcosa a che fare con la casa di Corvonero.

Così come nel libro, nel film è presente l’epilogo che si svolge diciannove anni dopo la battaglia di Hogwarts, in cui Harry e Ron ricordano alla lontana Homer Simpson, Hermione è praticamente identica e Ginny ha trovato il tempo di farsi una permanente.

Senza infamia e senza lode la colonna sonora della pellicola, ennesima rielaborazione dell’Hedwig Theme di John Williams, questa volta a cura di Alexandre Desplat, e nessuna novità per quel che riguarda la scenografia e la fotografia plumbea del film (di Eduardo Serra) inaugurata dalla gestione Yates. Delusione per il 3D, che non aggiunge molto alla visione del film, neppure nelle scene della Gringott e della battaglia di Hogwarts.

Harry Potter e i Doni della Morte – Parte II delude chi si aspettava un impatto emotivo per la fine della saga potteriana: l’inizio fiacco e i momenti di maggiore pathos buttati via come niente – in  testa la morte di Fred e lo scontro tra Harry e Voldemort alla presenza dei Malandrini – penalizzano il giudizio complessivo sulla pellicola, che lascerà lo spettatore freddo nonostante le ottime performance della Carter e di Lewis e le buone prove del resto del cast.