La leggenda è finita. Ogni singola parte del trittico in cui Christopher Nolan ha riportato a nuova vita il Cavaliere Oscuro sul grande schermo ha ora un significato più ampio, uno scopo più vasto. Coerente e completa, la personale visione di Nolan di uno dei supereroi più longevi, complessi e amati della storia del fumetto ha un senso profondo che va ben oltre la semplice e immediata spettacolarità delle sue gesta, delle sue risorse fisiche e tecnologiche. Perchè Batman, in più di settant'anni di storie di carta e china è stato, ed è, molte cose. Ma più di tutto è un uomo che affronta la propria ossessione, la propria paura, la propria rabbia, che si spinge al di là dei limiti che un essere umano può tollerare. E, in questo terzo e ultimo capitolo della trilogia, il suo ergersi a simbolo, a forza primordiale, pura, incorruttibile, è colto pienamente.

La maschera e l'uomo, dunque: Batman e Bruce Wayne. Il rapporto tra l'una e l'altro (ma qual è l'una e qual è l'altro, veramente?) tra ciò che il bambino che ha assistito all'assassinio dei suoi genitori era e avrebbe potuto essere, e ciò che è poi diventato, è un altro elemento fondamentale di questo film. Lo è la figura dell'uomo, all'inizio della storia privato delle motivazioni che lo hanno fino ad allora spinto ad agire, pieno dell'antica rabbia che non è più ormai forza ma che lo immobilizza nella sua solitudine, in un esilio.

Reso magistralmente da un Christian Bale che soprattutto nella prima parte del film domina la scena, Bruce è orfano anche di quella maschera che ha dato uno scopo al suo dolore. Al suo fianco, come sempre, c'è il maggiordomo Alfred, ancora una volta interpretato da un incredibile Michael Caine, e capace di dar vita insieme al protagonista ad alcune delle sequenze più intense, da un punto di vista emotivo, dell'intera trilogia: tale è il rapporto che li lega l'uno all'altro che soprattutto nei dialoghi tra di loro si porta alla luce il conflitto interiore del protagonista, tra l'uomo e la maschera che quello indossa. C'è un Gary Oldman magnifico, vibrante di intensità drammatica in ogni fotogramma della sua interpretazione del commissario Jim Gordon, invecchiato ma più che mai decisivo nel proteggere la sua città e teso a redimere se stesso e il suo più grande alleato, Batman.

Orfano dei genitori proprio come Bruce Wayne, l'agente di polizia John Blake (un eccellente Joseph Gordon-Levitt) comincia a fare breccia in quella fortezza che per otto anni dalla fine del precedente capitolo il milionario ha innalzato intorno a sé.

Saprà farlo, anche se in modo decisamente diverso, anche Selina Kyle: ambigua, affascinante ladra di gioielli che Anne Hathaway interpreta senza inutili orpelli nella caratterizzazione. Splendida nel suo muoversi sulla scena, sia che combatta con agilità letale sia che seduca per uno scopo personale, l'antieroina (mai, nel film, chiamata con il nome di Catwoman) nasce dalla più nera disperazione in cui versa la maggioranza della popolazione di Gotham City, in questo ultimo capitolo più che mai protagonista della storia, mentre le famiglie aristocratiche e i magnati della finanza prosperano sulle menzogne che loro stessi hanno contribuito ad alimentare.

Nolan ha voluto portare il momento storico, sociale ed economico che stiamo vivendo nella sua opera di finzione e nella sua personale visione dell'universo di Batman (non rinunciando, tuttavia, a citare diversi momenti della lunga vita fumettistica del personaggio, funzionali alla storia narrata). Non lo ha fatto in modo retorico, né l'attuale crisi mondiale è nelle sue mani uno strumento per diffondere un messaggio di carattere politico. La sua è un'intelligente riflessione speculativa, l'affresco di una moderna Rivoluzione Francese, divampata da cause condivisibili ma non priva di difetti strutturali che quegli intenti iniziali distorcono. 

Bane, principale nemico del Cavaliere Oscuro in questo epilogo e artefice del rovesciamento del sistema, è un terrorista rivoluzionario dotato di una potenza fisica e di una ferocia devastanti, superiori all'addestramento dell'eroe, e forse anche alla rabbia che anima quest'ultimo. Sfigurato da una maschera che è costretto a indossare sempre, per placare il suo dolore (un parallelismo, ma portato all'estremo, che lo rapporta a Bruce Wayne / Batman) è interpretato da un Tom Hardy che ha raccolto la grande sfida di dover recitare con il fisico e con la voce, non potendo esprimere con i tratti del viso le sue emozioni: l'intento di Christopher e di suo fratello Jonathan Nolan, che in qualità di sceneggiatori del film hanno sviluppato il soggetto scritto da David S. Goyer, era infatti quello di portare il protagonista ad affrontare una minaccia di altissimo livello fisico e mentale. Un compito che Hardy svolge egregiamente, con una presenza scenica notevole, se non fosse per un doppiaggio italiano davvero deludente (unica consolazione è che la voce metallica di Bane, distorta dal dispositivo che la copre, è sempre perfettamente udibile nella nostra lingua, a differenza che nella versione originale).

La storia si snoda rapidamente, attraverso numerosi personaggi e situazioni, fino all'attuazione del meticoloso e terribile piano di Bane e dei suoi. Se questo film ha un limite, esso è forse inizialmente dovuto alle numerose articolazioni della trama (e in alcune incongruenze che tuttavia non ne minano le solide fondamenta): lo spettatore è chiamato, dunque, a tenere desta l'attenzione per fissare nella mente tutti i tasselli che formeranno il mosaico finale, i numerosi dialoghi, i cambi repentini di scena. Nolan sta piazzando le sue pedine, offrendo al contempo le prime, spettacolari sequenze d'azione che la fotografia di Wally Pfister, alla sua ultima collaborazione con il regista britannico, rende nitide e godibili pur nel loro rapido incalzare.

Poi, il climax finale: inarrestabile, senza dare respiro, fa crescere la tensione e le emozioni con una costruzione assolutamente perfetta, in cui tutti quei tasselli tornano al loro posto richiamando al contempo i fili dell'intera trilogia e dando alla storia, alla leggenda, un senso definitivo. Il commento sonoro di Hans Zimmer svolge lo stesso lavoro: epico, coinvolgente, riassume i temi principali dei primi due capitoli e ne aggiunge di nuovi, mescolandoli sapientemente e amplificando l'onda emotiva delle immagini.

Il Cavaliere Oscuro - Il Ritorno è il miglior finale che una saga cinematografica supereroistica abbia finora mai avuto e conclude degnamente una storia che è un cammino insieme umano ed eroico.

Ora la leggenda è finita. Ma le leggende non muoiono mai.