Il Drago è rinato, ma Rand rifiuta la sua vera natura cercando di sfuggire, per quanto possibile, al controllo che le Aes Sedai tentano di avere su di lui.

Intanto il lontano stato di Illian ha indetto la “Grande Caccia del Corno di Valere”, la ricerca di un prezioso manufatto risalente all’Era delle Leggende, in grado di evocare gli eroi del passato affinché combattano al fianco di colui che lo suona. Ma il corno, ritrovato da Moraine, Rand e gli altri all’Occhio del Mondo, viene rubato dagli Shenariani, da sempre in lotta contro l’Ombra. E questa volta sarà Rand stesso, assieme ai suoi due amici Perrin e Mat, a doverlo recuperare.

Nel frattempo, Egwene e Nynaeve, assieme ad Elayne, l’erede al trono del Regno di Andor, studiano presso la Torre di Tar Valon per diventare esse stesse Aes Sedai, ma cadono tutte e tre vittime dell’Ajah Nera, le Aes Sedai al servizio del Tenebroso, che le rapiscono facendole poi imprigionare dai Seanchan, un misterioso popolo d’oltre oceano che è ritornato nel continente. Le tre ragazze e gli altri protagonisti si trovano di nuovo tutti assieme, per cercare di contrastare l’ennesimo attacco del Tenebroso...

La grande caccia, secondo libro della saga della Ruota del Tempo, è meno bello del primo.

Robert Jordan affina il suo stile e la sua tecnica narrativa, facendo intuire quanto la maggior parte degli eventi e dei personaggi di tutta la saga fossero chiari nella sua mente già durante la stesura de L’occhio del mondo.

In questo capitolo della saga vengono introdotti un numero maggiore di personaggi e popoli rispetto al libro precedente e forse questo distrae un po’ il lettore, portandolo addirittura alla noia in alcuni casi. Si può sicuramente dire che l’autore chiude alcune tematiche fondamentali del primo libro, ne amplia alcune che aveva appena accennato e ne inizia di nuove. Questo suo modo di scrivere è comune a tutti i libri della saga, cosa che la rende ordinata, anche se a volte un po’ troppo dispersiva.

L’introduzione dei Seanchan e l’evoluzione della tematica relativa ai “Figli della Luce” danno una notevole sferzata a tutta la trama, ampliandola di molto rispetto al primo libro, come se Jordan, una volta appurato l’interesse dei lettori nei confronti della saga, abbia inteso far capire a tutti i costi che c’è ancora molto da dire.

In questo libro si apprezzano maggiormente le scelte fonetiche dell’autore. I nomi dei luoghi, dei personaggi, dei regni e via dicendo danno una nota quasi esotica alla saga, rendendola comunque più realistica e soprattutto originale, dato che i fonemi non richiamano alcuna lingua moderna (la scelta ricorda un po’ quella che fece Tolkien, quando decise di “creare” la lingua elfica; nel caso di Jordan l’approccio è chiaramente meno completo). Così i tre ragazzi di Emond’s Field, che si ritrovano a essere “nodi” del Disegno, sono dei Ta’Veren, il popolo del deserto sono Aiel, eccetera… La scelta dei nomi è sicuramente azzeccata e anche se ricca di accenti inusuali e di apostrofo sparsi, non è di difficile lettura e memorizzazione.

Un aspetto negativo del romanzo, secondo me, è la caratterizzazione dei tre ragazzi di Emond’s Field; il loro sviluppo sembra un po’ limitato, quasi fosse troppo dettato da “esigenze di copione”.

A tratti La grande caccia pare più un seguito del primo, da esso staccato per meri motivi editoriali, che un libro a sé stante. È comunque molto bello e ha il pregio di chiarire una volta per tutte quale sia il destino del Drago e di motivare parte degli eventi.

Un’altra nota negativa, per il mio gusto personale, è la tematica dei “Mondi o Universi Paralleli”, idea tutt’altro che originale, tanto che l’intera parte del libro che ne tratta mi è parsa un grosso escamotage e l’ho letta il più in fretta possibile per lasciarmela presto alle spalle. In ogni caso, chi ama questa particolare tematica forse troverà piacevole la lunga parentesi.