Transformers è un film con due anime, una umana e l’altra robotica. L’anima umana riesce a essere spiritosa, divertente, efficace e con un piacevole retrogusto di parodia. Quella robotica è spettacolare, rutilante, tecnicamente perfetta e credibile tanto quanto un cartone animato delle sei di mattina, di quelli vecchi che non aveva un gran successo nemmeno quando erano nuovi.

Per tutta la prima parte seguiamo le disavventure del giovane, leggermente sfigato, magari anche un po’ meschino, senz’altro simpatico Sam Witwicky. A interpretarlo c’è un sorprendente Shia LaBeouf. È presto per dare un giudizio sulle capacità recitative del ragazzo, ma il ruolo che ha in Transformers gli riesce piuttosto bene.

I robottoni non si fanno attendere, il regista Michael Bay ce li schiaffa sullo schermo, a suon di trasformazioni e distruzione, da subito. Ma noi rimaniamo catturati dalle turbe adolescenziali del povero Sam, che non è capace di rimorchiare una ragazza nemmeno per sbaglio, vuole la macchina nuova e il papà gli compra una caffettiera su quattro ruote, non ha un soldo in tasca e si riduce a vendere su e-bay i cimeli del trisavolo. Apprezziamo il suo coraggio ma ridiamo di lui per i ridicoli tentativi di fare un approccio da ganzo alla bellona della scuola (Megan Fox), che ovviamente quasi non sa della sua esistenza. E se la tanto agognata macchina ha la leggera tendenza a guidarsi da sola e a smettere di funzionare quando vuole lei, le cose non migliorano.

Shia LaBeouf
Shia LaBeouf
Il tutto condito da una serie di personaggi-parodia, partendo da papà Witwicky (Kevin Dunn), di cui nessuno riesce a pronunciare il cognome, ossessionato dalla perfezione del giardino di casa. Mamma Witwicky (Julie White) tenta di stabilire un dialogo con figlio adolescente e gli parla di masturbazione, mentre i poliziotti decidono a priori che il nostro eroe è un drogato di pasticche per cani. E a proposito di amici a quattro zampe, non possiamo dimenticare l’altrettanto sfigato (un po' come il padrone) chihuahua Mojo, che tutti trattano come se fosse più alieno più di quanto non siano giganti metamorfici alti dieci metri.

John Turturro non si sottrae alla logica della parodia e ci offre uno strampalato, ottuso, meschino agente governativo che non farebbe brutta figura in un film dei fratelli Coen.

Sullo sfondo il mistero dei robot alieni, che sappiamo cosa cercano ma non capiamo bene che c’entra Sam: ha il pregio di non svelarsi fin da subito e di mantenere la giusta tensione.

Megan Fox
Megan Fox
Insomma, per una metà scarsa di pellicola (scandita dall’intervallo, nel cinema dov’è stato chi scrive), abbiamo creduto che Michael Bay fosse stato posseduto dallo spirito di Billy Wilder (esagerando un po’ il paragone, per carità). Si è entrati al cinema per vedere un giocattolone ipetrofico, ci si ritrova con un film comico; e va bene così.

Arrivano le vere scene di guerra, e Bay torna il regista di sempre, quello di Armageddon e Pearl Harbor. I rallentamenti che sottolineano l’entrata in scena dei nostri eroi, tipicamente i coraggiosi militari americani (Tyrese Gibson e Josh Duhamel), sono scanditi da potenti musiche epiche. I funzionari governativi sono ottusi e ultra conservatori. Il Segretario alla Difesa Jon Voight risoluto e piattamente eroico. Qualche personaggio viene introdotto, magari riesce a strappare un mezzo sorriso, ma poi non viene approfondito e sparisce a tre quarti di pellicola senza che si capisca che fine abbia fatto.

La fanno da padroni i robot, che se come accompagnamento delle avventure amorose del giovane Sam funzionavano bene, come guardiani di pace e giustizia per la Terra fanno pena. I buoni Autobot hanno personalità rifinite con una sega circolare gigante al titanio. Il capo Optimus Prime è supereroico fino alla nausea, il suo luogotenente Jazz è un ganzo che parla giovane e si trasforma a ritmo di musica, l’esperto di armi Hironhide è burbero e vorrebbe sparare a qualsiasi cosa si muove. Si salva il simpatico Bumblebee, che infatti vediamo molto di più nella prima parte.

I Malvagi Decepticon compaiono solo per demolire tutto quello che incontrano, fatta eccezione per Megatron, un cattivo-che-più-cattivo-non-si-può bidimensionale come pochi. Il peggio i nostri digitali amici di metallo lo danno nei dialoghi, che quando non sono ridicoli fanno rimpiangere scambi di battute fra i personaggi di He-Man o, in termini più moderni, dei Pokémon.

Il risultato sullo schermo di così pessimi attori digitali, per quello che riguarda l’impatto visivo, rasenta la perfezione. Si fa fatica a distinguere veicoli veri da mostroni metallici fatti al computer, e le scene di trasformazione, scandite dal classico suono dei cartoni animati, sono semplicemente bellissime. Le tante compagnie che anno lavorato al digitale, l’Industrial Light & Magic su tutte, hanno fatto un ottimo lavoro. Ci sono abbastanza robot da soddisfare il palato dei fan, ma alla fine se ne sarebbero voluti vedere di più.

Gli scontri epici sono penalizzati dai già citati, terribili scambi di battute tra Transformer buoni e cattivi; e epici sono certi buchi in una trama che pure è davvero lineare. Scopriamo dopo dieci secondi di film che tutti gli alieni cercano il Cubo di AllSpark, ma sulla spiegazione di dove viene nascosto e come si fa a trovarlo, alla fine c’è qualcosa che non và. E sulla funzione del Cubo, che ovviamente non vi sveliamo, davvero gli sceneggiatori Alex Kurtzman e Roberto Orci avrebbero potuto inventarsi qualcosa di un po’ più plausibile.

Alla fine si rimane storditi, dopo aver seguito per più di un’ora jet che diventano robot che tornano jet a velocità supersoniche, palazzi trapanati da lottatori di metallo avvolti in un abbraccio mortale, missili che esplodono su tutto lo schermo. E ci si chiede dove siano finite le risate d’inizio pellicola, si finisce per avere nostalgia del chihuahua.