Bello ma estenuante.

Lo Hobbit: La desolazione di Smaug, secondo film che Peter Jackson ha tratto dal romanzo Lo Hobbit di J.R.R. Tolkien, prosegue il racconto della missione di Bilbo Baggins (Martin Freeman) che con il mago Gandalf (Ian McKellen) e un manipolo di 13 nani, guidati dal legittimo erede del Regno dei Nani di Erebor, Thorin Scudodiquercia (Richard Armitage), cerca di riconquistare il tesoro trafugato a suo tempo dal drago Smaug (Benedict Cumberbatch in originale, Luca Ward in italiano).

Il film non comincia lì dove avevamo lasciato la vicenda nel primo. La necessità di riassumere in breve il primo film viene superata in modo brillante da Peter Jackson, con un flashback che racconta l'antefatto aggiungendo invece di replicare scene del precedente film.

Dopo il piccolo riassunto si torna invece poco più avanti di dove era terminato il film, con i nostri eroi inseguiti dagli Orchi, alle soglie di Bosco Atro.

La necessità di proseguire porterà a nuovi incontri amichevoli, come quello con il cambia pelle Beorn (Mikael Persbrandt), nuovi pericoli, come i ragni nel bosco, e al tanto temuto incontro con gli Elfi. Questi ultimi sono sospettosi, sfuggenti, decisamente antipatici. Il confronto con Thranduil (Lee Pace) non è affatto facile, mentre nell'avventura saranno coinvolti Legolas (Orlando Bloom), il figlio del Re, e Tauriel (Evangeline Lilly), sua amica d'infanzia e capitano della guardia elfica.

Tra fughe rocambolesche, inseguita prima dall'orco Azog (Manu Bennett) e poi dal suo sgherro Bolg (Lawrence Makoare), la compagnia, incontrando Bard l'Arciere (Luke Evans) arriverà a Ponte Lagolungo, dove il governatore locale (Stephen Fry) sembra molto ben intenzionato ad aiutarli, convinto dal possibile guadagno. Finalmente la compagnia potrà tentare di entrare nella Montagna Solitaria, per il decisivo confronto con Smaug.

Nel frattempo però Gandalf e Radagast (Sylvester McCoy), hanno scoperto che intorno alla ricerca dei nani si muovono forze più complesse e che eventi ancora più grossi si profilano all'orizzonte.

Siamo al punto di svolta della trilogia. Se anche non avessi mai letto il romanzo avrei potuto pensare che, con uno scatto di reni, la storia potesse trovare qui il suo epilogo.

Jackson però si è lasciato tentare dalla voglia di realizzare con Lo Hobbit un compendio tolkienano, mediando tra la voglia di mettere in scena più luoghi, personaggi e situazioni possibili del mondo del professore di Oxford e le esigenze del cinema spettacolare, che prevedono il dosaggio mirato di elementi ben determinati.

Inoltre, come ogni secondo episodio, vale la regola della moltiplicazione degli antagonisti e dei personaggi. 

I personaggi che debuttano nel film sono sia presenti nel libro come Bolg (anche se non è chiaro se sia il figlio di Azog, o solo un suo fidato braccio destro), Beorn, Bard, Smaug, Radagast (appena nominato) e Thranduil (mai nominato esplicitamente), sia presenti nella mitologia tolkieniana ma non nel testo come Legolas, sia completamente inventati come Tauriel.

Di conseguenza, gli eventi si moltiplicano e, assieme a eventi narrati più o meno come sa chi conosce i romanzi, ce ne sono altri inventati per l'occasione e altri cambiati in funzione dell'introduzione dei nuovi personaggi.

Ma tutto questo al fruitore del solo prodotto cinematografico non interessa.

Lo stravolgimento totale dei romanzi bondiani nei film, molti dei quali conservano molto meno del testo originale di quanto conserva Jackson in questi film (in alcuni casi solo il titolo), non ha impedito a quei film di essere appassionanti e divertenti.

Jackson osa. Osa l'interpretazione a fine narrativo del testo originale, da fan che vuole realizzare un omaggio alla creazione di un suo maestro, assumendosene tutte le responsabilità.

Ci sono delle necessità, oltre quella di realizzare le dinamiche protagonista-antagonista, c'è anche quella della "storia d'amore". Ma a merito di Jackson va detto che il modo in cui è introdotta non è così prevedibile, a mio giudizio.

Convincono anche le dinamiche padre-figlio tra Legolas e Thranduil, così come il confronto sul superamento dei pregiudizi, sulla necessità di aprirsi al mondo che la mentalità aperta di Tauriel introduce. Un tassello importante che ben si raccorda con la trilogia cinematografica di Il Signore degli Anelli.

Jackson osa ancora realizzando cinema allo stato puro, oltretutto continuando la sperimentazione del formato 3D 48 HFR che qui sembra più stabile e meno "a scatti" di quanto non fosse nel primo film, anche se in molte scene perdura l'effetto "televisivo" della pur ottima fotografia di Andrew Lesnie. Segno che la post-produzione continua, eccome.

Ma non è solo cinema tecnico quello di Jackson.

C'è un cinema narrativo, fatto di campi lunghi e lunghissimi che vogliono raccontare la piccolezza dei protagonisti di fronte alla sfida impari. Ci sono chiariscuri e primi, primissimi piani, a rappresentarne le angosce.

C'è un bellissimo piano sequenza durante la fuga nei barili che da solo vale il prezzo del biglietto.

Tutto quello che sapevate della cura di costumi, trucco e scenografie vale ancora per questo film. La produzione è quella. Sappiamo che i tre film sono stati realizzati insieme, come fossero uno solo.

Le musiche di questo secondo episodio, senza canzoni stavolta se non nel finale, sono un omaggio di Howard Shore alla sontuosità di John Barry. C'è però un tocco personale che diventa poesia nel tema di Tauriel e Legolas e sopratutto nel momento in cui i due elfi s'incontrano, quando a duettare, alternandosi, sono proprio i temi musicali dei personaggi.

Peter Jackson è entusiasta del suo progetto. E per certi versi ha ragione. Solo concepire un simile sforzo produttivo è un'opera di genio.

Però il tanto entusiasmo genera un film ancora una volta prolisso. Ogni scena o quasi ha un momento in cui poteva essere limata. Una rampa di scale in più, un duello in meno, una fuga da levare. Complessivamente, togliendo in vari punti, il film sarebbe durato mezz'ora in meno senza perdere il suo senso.

Gli attori lavorano complessivamente bene, come già nel primo film. Freeman e Armitage rimangono convicenti, McKellen rimane l'unico Gandalf immaginabile. Un po' legnosi Bloom e la Lilly. Istrionico, come ci si aspettava, Lee Pace. Non posso giudicare fino in fondo il tanto atteso Benedict Cumberbatch perché il film l'ho visto in italiano, ma dalla motion capture emergono delle espressioni intense.

Lo Hobbit: la desolazione di Smaug non deluderà gli amanti dello spettacolo e dell'avventura. Ci vorrà solo un po' di pazienza, sia per arrivare alla fine del film, sia per l'attesa del terzo capitolo, dove i fili intrecciati nei primi due film verranno definitivamente sciolti.