E’ in libreria dal  28 gennaio il romanzo fantasy scritto da Katherine Howe  dal titolo Le figlie del libro perduto (The Physick Book of Deliverance Dane – 2009), ne abbiamo dato notizia qualche tempo fa (/notizie/11620/le-figlie-del-libro-perduto/).

L’autrice ha effettuato un giro promozionale in Italia, durante il quale noi di Fantasymagazine  abbiamo approfittato della sua disponibilità per porle qualche domanda.

Con il prezioso aiuto di Chiara Serafini, bravissima interprete, abbiamo salutato la scrittrice, fatto i complimenti per il bel romanzo e siamo passati subito alle domande.

Una domanda classica per farla meglio conoscere ai nostri lettori: può dirci “chi è”  Katherine Howe?. Dove e quando è nata, che studi ha compiuto, dove vive, cosa fa oltre che scrivere?

Sono nata a Houston in Texas.  La mia famiglia originariamente era del New England e si è trasferita a Houston negli anni ’30. Ho frequentato la Columbia University a New York, dove ho studiato Arte Storia e Filosofia. Ho lavorato due anni al Moma, il museo di arte moderna di New York, e successivamente ho frequentato la Boston University per il mio dottorato in studi americani e del New England. Si tratta in pratica di una disciplina interculturale che riguarda la storia della cultura americana, e questo spiega perché nel mio romanzo compaiono tante descrizioni di quadri e di architettura; è il mio background.

Sono sposata da sei anni, vivo a Marblehead  nel Massachusset. Ho un cane, un pappagallo e sto imparando a fare del giardinaggio… e poi scrivo libri.

Quali sono state le sue letture formative giovanili? Attualmente cosa le piace leggere?

Da bambina leggevo un po’ di tutto, ero una di quelle classiche bambine che stanno su fino a tardi con la lucetta accesa sotto le coperte per non farmi scoprire dai genitori. Mi piacevano molto i romanzi gialli, di horror e anche la fiction storica.  Il mio libro preferito era Johnny Tremain che parlava di un ragazzino che veniva coinvolto nella rivoluzione americana, e io in effetti mi sono innamorata di lui (e lo sono stata per due anni). Alternavo letteratura "alta" con gialli e altro. Attualmente i libri che leggo più frequentemente sono quelli che servono per documentarmi per le mie ricerche quindi vado a leggere le fonti primarie, vado a leggere proprio i libri del secolo scorso, soprattutto per il mio attuale progetto di letteratura. Leggo anche molti giornali. Se poi non devo leggere per le mie ricerche, mi piacciono i classici americani come William Dean Howells (1837 – 1920. E’ stato uno scrittore e critico letterario statunitense) e poi mi piacciono diverse altre cose.

A proposito di Salem, ha letto il romanzo Lace Reader (La lettrice bugiarda – Garzanti) di Brunonia Barry?

Non ho letto il romanzo, però conosco molto bene Brunonia Barry, che è una persona veramente deliziosa, e conosco anche qual’è il suo nome vero, ma non lo rivelerò. Il suo romanzo è stato pubblicato proprio mentre stato scrivendo il mio, e quindi non l’ho letto perché volevo mantenere intatta quella che era la mia immagine  mentale del mondo di Salem. In effetti le nostre protagoniste Towner e Connie vivono nello stesso periodo e nella stessa città. Un giorno io e Brunonia mentre prendevamo un te abbiamo pensato che sarebbe stato carino farle magari incontrare prima o poi in un racconto.

Ha trovato difficoltà a farsi pubblicare questo suo primo romanzo?

In effetti sono stata molto fortunata in questo senso, perché faccio parte di un gruppo di giocatori di poker a Cambridge.  Nello stesso gruppo c’era anche  lo scrittore Matthew Pearl (Il circolo di Dante; L’ombra di Edgar e Il ladro di libri incompiuti – Rizzoli) e io, che  da tempo avevo  l’idea di scrivere questo romanzo, non avevo il coraggio di chiedergli consiglio. Finché una sera mio marito mi ha detto: "Perché non ne parli a Matthew? Lui è uno scrittore famoso".

Io non volevo, però mio marito mi ha fatto bere un bicchiere di vino che mi ha dato il coraggio di parlargliene.

Matthew è stato molto gentile ed è stato il mio mentore, mi ha trovato un agente letterario e ha anche scritto una recensione molto lusinghiera al mio romanzo.

Le è piaciuto il titolo dato dalla Salani Le figlie del libro perduto?

Si mi e’ piaciuto moltissimo, è elegante e piacevole. Mi rendo conto che il titolo originale inglese non si poteva tradurre letteralmente in italiano, in quanto avrebbe perso ogni significato. Inoltre  si tratta di una parola inglese arcaica che in italiano non esiste.

Quando e come è nata l’idea per questo libro?

Nel 2005 sono successe due cose importanti per questo libro: innanzitutto  io e mio marito ci siamo trasferiti da Cambridge a Marblehead nel Massachussetts, una cittadina  che si trova a poca distanza da Salem.

Marblehead è famosa negli Usa perché ci sono molte case di notevole pregio architettonico che risalgono al 18° secolo e sono le più famose degli Usa. Noi abbiamo preso in affitto un appartamento al secondo piano di una di queste case, costruita nel 1705; era la  casa di un pescatore. Esplorandola ho trovato in una delle porte della camera da letto il segno di un ferro di cavallo (un riferimento alla magia popolare) cosa che mi e’ sembrata molto interessante. Inoltre  il fatto di vivere vicino a Salem mi ha avvicinato molto all’idea che la magia popolare continui a esistere in questa zona degli USA. Inoltre  stavo studiando per prepararmi proprio ad un esame (lo stesso che viene dato da Connie nel libro), ero particolarmente stressata e per sfuggire all’ansia continuavo a raccontarmi queste storie, che poi ho deciso di metter su carta.

Nel libro sono ben descritte le persone, il modo di vivere a Salem nel 1692. Quanto tempo ha speso in ricerche su quel periodo?

La fase di documentazione è durata un anno e mezzo, ed è stata spesa tra letture sulla stregoneria nel New England, sul processo di Salem, la vita quotidiana in quel periodo. Poi ho tenuto come docente un seminario sulla storia della stregoneria e mi sono resa conto che insegnare ad altri è il modo migliore per imparare. Così mi sono sentita abbastanza fiduciosa per iniziare a scrivere il romanzo.

Esistono realmente dei libri o un libro delle ombre (come lo definisce Manning Chilton) o un libro di ricette per rimedi che dir si voglia?

In generale si può di si, esistevano questi libri, quando una donna si sposava gli veniva dato in dote un libro che era una  specie di guida di economia domestica, conteneva ricette (per esempio: come fare la gelatina di anguilla) oppure dei medicamenti per curare delle ferite, per la febbre, per il raffreddore, erano  i rimedi casalinghi per la vita di ogni giorno, magari per curare  anche  il bestiame e tutti questi rimedi erano radicati nella magia popolare.

Il libro lo ha scritto ora, perché data  la vicenda nel 1991?

Ho scelto una ambientazione contemporanea per il racconto, ma  più arretrata rispetto a oggi, soprattutto se pensiamo all’evoluzione tecnologica.

Era importante per la mia storia, in quanto volevo che Connie si sentisse sola, isolata, e dovesse andare personalmente a scartabellare negli archivi, cosa che oggi non è più necessario perché si fa tutto tramite internet.

Lei doveva essere da sola, cosa che oggi sarebbe stata anacronistica.

C’e’ un’altra ragione un poco più nascosta, nel 1690 c’era un modo diverso di rappresentare il calendario, l’anno nuovo non iniziava a gennaio bensì a marzo e nei primi tre mesi dell’anno,  si indicava la doppia data, quindi il processo di Salem si e’ svolto nel 1691/92 e volevo che ci fosse questa simmetria di trecento anni di differenza.

Dopo “Le figlie del libro perduto”  sta scrivendo altro? Di cosa tratterà?

Il libro che sto scrivendo è un romanzo ambientato a Boston nel 1915, quindi si tratta anche in questo caso di un romanzo storico ambientato nel New England ma in un periodo diverso, C’è anche qui una svolta occulta in quanto il 1915 rappresentava un anno di transizione per Boston, che si affacciava alla modernità e rappresentava anche la fine del movimento spiritualista, quando tutti credevano ancora nelle sfere di cristallo, al magnetismo elettrico ecc. ecc. Un periodo in cui le persone si interrogavano sui limiti della propria percezione. C’e’ dell’oppio, c’è la morte in questo romanzo ed è molto  divertente.

Il titolo provvisorio nella versione inglese è The Scrying Glass.  Un termine antico  che significa vedere il futuro in una sfera di cristallo dalla superficie riflettente.

Avremmo altre domande da porle ma purtroppo il tempo a nostra disposizione è trascorso, così salutiamo la scrittrice, nella speranza di poter leggere presto il suo prossimo romanzo.